venerdì 9 dicembre 2011

Can English Isolation last forever?




The Ue is facing the worse crisis of his history, and it's going to do it without United Kingdom.
The English Government has always been the most eurosceptic of the continent, but after the last meeting in Bruxelles Cameron just decided to cross the line beetween euroscepticism and antieuropeism.
Cameron was really clear in his statements: he is proud to be out of the eurozone, and he is going to veto every try to modify the lisboa treaty harming the “key interests” of United Kingdom.
The English Minister is playing a dangerous game: his isolation in Bruxelles is getting worse, and his way to handle the eurocrisis could maybe help him to get some vote at home, but it won't save England from the possible crash of euro.
Hearing Cameron talking about the “key interests” of Uk is offensive to every european citizen who is facing sacrifices to survive to the economical crisis. There is no english interest at stake, just european's. And Uk is a part of europe, even if Cameron is always trying to deny it. If Ue is going to fail, Uk will come along.
The 2008 crash of the financial system was created by the financial market, and europe has to control and tax it. Even if this mean to harm english interest. We have to, because it's necessary and because it's right. We are in the same boat, and we have to row in the same direction.
Uk is too important to be left behind in the process of europe integration, but we can't wait for english people. The crisis is now, and the solutions must be quick. With or without Cameron. If Uk wants to stay out of the european process, we have to accept his decision. But english people needs to decide: british isolation can't last forever. Sooner or later they will have to decide what's their european future. They cannot be half european ad perpetuum.
Cameron could be one of the great architect of the New Europe. If he just want to be a witness, so be it.

sabato 3 dicembre 2011

Un'Europa a due velocità non è la soluzione.


Alcuni commentatori (anche di fama internazionale) hanno avanzato l'ipotesi di dividere il processo di integrazione europea in due (o più) canali. Le formule variano in base alle proposte, ma il nucleo dell'idea rimane sempre la stessa: gli stati virtuosi (Germania, Olanda, Finlandia, forse Francia) non possono permettersi il lusso di rimanere attaccati a paesi che hanno dimostrato di non poter mantenere gli impegni politici e di bilancio.
Una soluzione del genere non è in alcun modo auspicabile, perché il futuro dell'Europa non può passare attraverso l'emarginazione di paesi come il Portogallo, l'Irlanda o la Grecia. Qualcuno riuscirebbe ad immaginare un'unione di paesi latinoamericani senza il Cile o l'Argentina? No. Allo stesso modo appare impossibile dare credibilità ad un progetto europeo senza paesi che hanno fatto la storia del continente. La Grecia, anche se adesso appare agli occhi di tutti come un paese di bugiardi fraudolenti, rimane comunque la culla della nostra cultura. Lasciarla indietro avrebbe degli effetti dirompenti sia a livello economico che a livello politico.

Ma quali sono i motivi principali che mi spingono a rifiutare l'idea di un'Europa a due corsie?

1)Per equità e solidarietà. L'Europa di oggi e di domani non si può certo basare sulla legge del più forte. Sebbene i paesi che in questo momento si trovano inermi davanti alla crisi sono colpevoli tanto quanto il crack finanziario, l'Europa non può abbandonarli nel momento del bisogno. Se siamo un Unione politica, dobbiamo lanciare una scialuppa ai patner in difficoltà, non aiutarli ad affondare.

2)Per lo sviluppo economico e politico del continente. I paesi che in questo momento riescono ad affrontare la crisi con maggior successo (Germania e Finlandia avanti a tutti) hanno tratto degli immensi benefici dall'Unione Europa. La possibilità di disporre di un mercato unico, senza frontiere e con la stessa moneta, ha permesso alla Germania ed agli altri paesi più ricchi di svilupparsi enormemente. Ma se vogliono mantenere il loro livello di sviluppo devono aiutare i loro colleghi in crisi.

3)per l'architettura costituzionale europea. Perché l'Europa già prevede uno sviluppo a più corsie. L'euro ne è un esempio lampante. Alcuni paesi hanno adottato la moneta unica, altri invece continuano a stampare una propria valuta nazionale. Questo ha già diviso l'Ue in due tronconi, tra paesi che fanno parte della cd “Eurozona” e paesi che invece ne restano fuori. Inoltre i trattati prevedono numerose materie (come lo sviluppo militare) in cui i paesi membri possono iniziare una “cooperazione rafforzata”, ossia possono iniziare delle politiche di integrazione senza che tutti i paesi dell'Unione partecipino. Le formule previste dalle regole europee non sempre sono sufficienti, ma non possiamo dividere l'Ue più di quanto sia già divisa.
Dobbiamo piuttosto iniziare a domandarci cosa ha intenzione di fare un paese cardine della nostra storia come il Regno Unito, che continua caparbiamente ad allontanarsi dall'Unione Europa, rischiando di rimanere completamente fuori dal processo di integrazione.

4)Per la soluzione della crisi. Non possiamo farci troppe illusioni. Nessuno dei paesi dell'Unione Europea può sperare di superare questa crisi da sola. O se ne esce tutti insieme, o si cola a picco da soli. Pensare che in Europa ci siano delle aree incancrenite in un corpo sano è il modo migliore per gettarci tra le braccia degli speculatori. L'Europa è chiamata ad affrontare questa crisi nel momento più difficile della sua storia, ma problemi globali richiedono soluzioni globali. In gioco non c'è solo il destino dell'euro o dell'Unione europea, ma anche il futuro del nostro benessere e delle generazioni prossime a venire.

martedì 1 novembre 2011

IL REFERENDUM GRECO ALLONTANA L'EUROPA DALLA DEMOCRAZIA.

Sembra proprio che Papandreu sia intenzionato ad indire un referendum per decidere se accettare o meno la nuova tranche di aiuti europei e, di conseguenza, un nuovo piano di austerity e di rigore sociale. Non bisogna essere catastrofisti per capire che in caso di rifiuto da parte del popolo greco la penisola ellenica potrebbe uscire dall'Ue.
Questa decisione mi trova in completo disaccordo per vari motivi, ciascuno legato all'altro dalla mia personale concezione di democrazia.

1)Prima di tutto mi sembra una decisione pericolosa per tutti i paesi europei. Nel periodo di crisi finanziaria ed economica che stiamo attraversando, le decisioni di un singolo stato membro possono cambiare il destino di tutta l'Europa, e mi sembra quantomeno irresponsabile dilatare i tempi di approvazione del fondo salvastati con i mercati che ci stanno letteralmente dissanguando.


2)Non ho apprezzato né il modo né i tempi con cui è stata presa la decisione. Annunciare una decisione di questa portata senza consultarsi con gli altri leader europei, attraverso un'apparizione quasi teatrale in televisione, mi è sembrato pericolosamente populista. Questa sarebbe democrazia, cambiare idea in pochi giorni e giocare sulla pelle di tutti i cittadini europei nel disperato tentativo di salvare la propria (semidistrutta) immagine politica? Oltretutto occorre considerare che la Grecia ha già ricevuto sostanziosi aiuti europei per diverse centinaia di miliardi di euro. Forse era il caso di prendere questa decisione prima di accettare l'assegno, no?

3)E adesso arriviamo al motivo principale: la democrazia. Sebbene molti salutino il ricorso al referendum come un sintomo di democraticità, a me sembra il contrario. Papandreu è stato votato un anno fa dai cittadini greci avendo come caposaldo nel suo programma la risoluzione della crisi del debito come paese membro dell'Ue, perché ritornare al voto? Il compito dei politici è quello di risolvere i problemi dei cittadini prendendosi le proprie responsabilità. Il governo ellenico non può venire meno ai propri doveri scaricando tutte le responsabilità sui propri elettori. Oltretutto, in un paese spezzato e dilaniato socialmente, il frutto della scelta lascerà comunque il paese in ginocchio, ma vanificherà qualsiasi tentativo europeo di salvataggio.
Il referendum dovrebbe essere un mezzo di democrazia diretta, non un rifugio per politici disperati. Papandreu non può chiedere ai cittadini se sono disposti o meno a fare dei sacrifici per salvare il proprio debito, perché è normale che nessun cittadino onesto vorrebbe farsi carico di questo peso di cui non ha nessuna colpa. Al massimo, il primo ministro potrebbe chiedere ai greci se vogliono rimanere o no nell'Unione Europa, ma deve essere onesto: tornare alla dracma sarebbe un cataclisma politico e sociale di proporzioni gigantesche. Per i greci e per tutti noi.

Mi trovo infine completamente in disaccordo con tutti coloro che continuano a dare la colpa alla Banca Centrale Europea dell'attuale crisi. Il debito pubblico italiano, greco e francese c'era ancora prima dei trattati costitutivi dell'Ue. C'era e ci sarà anche qualora uscissimo dall'Unione Europea, e siamo stati noi a crearlo. Noi italiani. Attaccare le istituzioni europee ed italiane invece che trovare un modo per uscire da questa situazione non cambierà lo stato attuale delle cose: siamo un paese indebitato,che ha vissuto per molto tempo ben al di sopra delle proprie possibilità, con dei problemi economici e sociali di tipo strutturale. Non basterà un referendum alla Papandreu o una promessa alla Berlusconi per risolvere le cose, servono riforme.

giovedì 27 ottobre 2011

Silvio il magnifico: dopo l'Italia manda a puttane anche l'Europa.

Il nostro presidente del consiglio sta riuscendo in un'impresa senza precedenti: distruggere l'economia italiana e quella europea nello stesso mandato.
Tutti gli italiani sono ormai consapevoli delle sopraffine capacità distruttive del nostro premier, ma i nostri colleghi europei sono rimasti esterrefatti. Non capita certo tutti i giorni di assistere ad un fenomeno più unico che raro: un politico che tiene saldamente le redini del parlamento nonostante sia un evasore, un puttaniere, un pregiudicato e (forse) un colluso.
Ma l'Italia e l'Unione Europea non possono più aspettare i capricci del Papi: servono risposte rapide e decisi alla crisi economica. Risposte che questo governo, privato della dignità e di qualsiasi credibilità, non è più in grado di dare.
Mentre all'interno degli stati il fronte antieuropeo sembra allargarsi, la soluzione alla crisi globale può arrivare soltanto dal consiglio e dal parlamento europeo. Neanche la Germania, da sola, può sperare di uscire da questa crisi contando solo sulle proprie forze.
Ma per agire uniti occorre prima di tutto che i leader europei abbiano fiducia l'uno nell'altro. Certo, questa crisi ci mostra chiaramente come i tempi siano maturi per sviluppare le istituzioni europei al fine di una maggiore integrazione, ma oggi come oggi dobbiamo attenerci ai trattati di Lisbona: per trovare soluzioni comuni i leaders europei devono essere d'accordo.
Eppure, nonostante tutti gli sforzi, spesso l'intesa sembra mancare per colpa dell'Italia. Non ci può essere umiliazione peggiore per il nostro paese. La terza economia dell'eurozona ridotta a fanalino di coda, che attende passiva le bacchettate ed i rimbrotti dei colleghi tedeschi e francesi.
L'Italia dovrebbe sedersi ai tavoli europei e partecipare attivamente alle decisioni, ma questa opportunità ci viene preclusa dalla scarsa credibilità del nostro premier. La nostra immagine all'estero ne esce distrutta, ed il nostro orgoglio deturpato.
Cosa possiamo fare? Pensare subito ad un'alternativa. Politica, culturale ed economica.
Dobbiamo smetterla di accusare la Merkel, Sarkozy o l'Unione Europea per le nostre colpe: siamo stati noi a votarlo, è colpa nostra se il nostro paese è al collasso.
L'italia deve prima di tutto fare autocritica: perché un paese di sessanta milioni di abitanti, pienamente sviluppato, continua ad innamorarsi delle caricature degli uomini forti? Mussolini e Berlusconi sono molto diversi, ma hanno qualcosa in comune: entrambi fingono di essere qualcosa che non sono, degli uomini dal pugno di ferro con carisma e coraggio.
Perché continuiamo a credere in uomini tristi e ridicoli che ci promettono la luna? Perché, adesso che Berlusconi è al tramonto, già ci preoccupiamo di cercare un altro self-made man per sostituirlo?
Finché non risponderemo a questa domanda, non credo usciremo dalla crisi in cui siamo caduti. Una crisi non solo economica, ma anche culturale.

venerdì 14 ottobre 2011

Continuiamo a linciare l'Ue per le nostre colpe.


Ogni tanto sono costretto ad ascoltare sedicenti esperti che cercano di spiegarmi come l'Unione Europea (al pari del fondo monetario internazionale e dell'Onu) sia solo un'organizzazione fatta dai potenti per mantenere i loro privilegi. Le loro soluzioni sono quanto mai drastiche: uscire dall'euro, distruggere le banche, nazionalizzare il mondo.

Il linciaggio continuo che deve fronteggiare quotidianamente l'Unione Europea mi ha sempre lasciato stupito e perplesso, soprattutto perché arriva da ogni dove. Ho ormai capito che le persone che non lavorano nel diritto o nell'economia avranno bisogno di ancora molto tempo per accettare e capire la vitale importanza che ricoprono gli organismi europei per la loro vita quotidiana, ma quando accendo la televisione e vedo i politici incolpare l'Ue per le loro deficienze e la loro malafede, allora mi viene veramente il voltastomaco. La classe dirigente di questo paese dovrebbe informare e analizzare criticamente il fenomeno dell'integrazione europea, con tutti i suoi pregi ed i suoi difetti. Utilizzarla come scudo è quanto mai vigliacco e senza senso, soprattutto perché allontanare la gente dall'Europa significa allontanarla da un futuro che sta diventando realtà.

Non sono certo qui per santificare l'Unione Europa. Si tratta di un ente che ha numerosi difetti, alcuni dei quali macroscopici. Ma ha anche grandi vantaggi, ed è un'immensa fonte di opportunità per tutti i paesi dell'Eurozona. Anche se qualche comunista nostalgico della vecchia scuola e qualche leghista poco informato descrive Bruxelles come una macchina mangiasoldi, vorrei ricordare a tutti i giovani della mia età che senza l'Ue nessuno di noi andrebbe in erasmus. Senza l'Ue avremmo bisogno del passaporto per arrivare ad Amsterdam e dovremmo sorbirci i controlli doganali ad ogni viaggio estivo. Senza l'Unione potremmo essere espulsi coattivamente quando andremo all'estero a cercare lavoro. Perché anche voi sapete che ci andremo. Dobbiamo andarci.
Essere cittadini europei oltre che italiani ci offre una serie di diritti (direttamente applicabili e difendibili in tribunale) di cui noi usufruiamo quotidianamente ma di cui non siamo neanche consapevoli.

Perché l'Europa non ci piace?
-perché manca di democraticità? In parte è vero. La maggioranza delle decisioni viene preso nel consiglio europeo, formato dai primi ministri degli stati membri. Ma vorrei ricordare a tutti che quegli uomini sono gli stessi che abbiamo votato alle elezioni. Se sono incapaci e miopi a casa nostra, lo saranno anche in Europa. Forse dovremmo stare più attenti a chi votiamo a casa, prima di preoccuparci di bruxelles.
E poi ci tengo a sottolineare una cosa: l'Ue non è priva di democrazia. Dispone di mezzi (migliorabili) di democrazia diretta ed ha un parlamento votato direttamente da noi: i suoi poteri non sempre sono decisivi, ma non sono neanche marginali. Dobbiamo lavorare per aumentare la democrazia in europa, ma questo non mi sembra un buon motivo per distruggerla. Mi piacerebbe votare direttamente un governo europeo, ma ogni stato è geloso del suo orticello ed arrivare ad un tale livello di integrazione non sarà certo facile.

-perché ci ruba i soldi? Non direi proprio. Il modo in cui l'Ue distribuisce i fondi che riceve è lo stesso utilizzato nelle democrazie parlamentari,quindi questa accusa mi sembra infondata. Il parlamento ed il consiglio devono approvare un bilancio seguendo una procedura complessa ma rigorosa, quindi i nostri soldi vengono utilizzati per realizzare gli obiettivi fissati dai trattati. Non spariscono misteriosamente come succede sempre nel Belpaese.
E vorrei dire una cosa importante: il sud Italia potrebbe ricevere grandi benefici dall'Ue. Essendo considerata una regione economicamente depressa, riceve moltissimi fondi per lo sviluppo. Fondi che i politici italiani rubano o non riescono ad usare. Quindi la colpa non è certo di Bruxelles, ma di Roma.
Attualmente sono in erasmus a Siviglia, in Andalusia. Si tratta della regione più povera della Spagna, ed i fondi europei sono stati molto generosi con questa zona. Dovreste venire a farvi un giro: il centro della città e parte della periferia si sono letteralmente trasformati. I servizi pubblici funzionano perfettamente e la città è così pulita ed organizzata che sembra di essere in Germania. Non è solo merito dei fondi europei, chiaro, ma tutti sono d'accordo nell'ammettere che l'Ue ha fatto la sua parte. Il problema degli stati membri è che venerano o sputano sull'Ue in base alle loro esigenze momentanee. Emblematico è il caso dell'Irlanda: fino a quando è stato un paese molto povero ha beneficiato di numerosi fondi europei e non si è mai lamentata. Poi è diventata la tigre celtica, il suo pil è esploso e l'Europa è diventata un peso. Finché si trattava di ricevere erano tutti europeisti, poi quando è arrivato il momento di dare....sono saliti sul carro degli indignati. Ma la fortuna gira per tutti: con la crisi e con le banche in ginocchio, gli irlandesi sono tornati a Bruxelles lasciando l'arroganza a casa.

-in Europa comandano le banche? Mi pare una tesi un po' traballante. Tra le competenze dell'Unione Europea c'è anche la politica monetaria (solo nell'Eurozona, ossia solo tra i paesi che adottano l'euro come moneta unica), ed è quindi normale che la Bce sviluppi una propria strategia per salvaguardare gli interessi europei. E' stata fondata per questo, non per altro. Non certo per controllare i deboli e osannare i potenti.
Anche io mi sono indignato quando, durante la crisi, le banche ed i suoi Managers sono stati salvati mentre le famiglie sono andate in bancarotte ed hanno perso ogni centesimo dei loro risparmi. Ma non accade lo stesso anche in Italia? Questo governo non sta forse disinteressandosi dei ceti medio-bassi pur di proteggere i ricchi?
Dobbiamo cambiare il modo di fare economia e di intendere il sistema di produzione, affinché la povera gente non sia sempre l'unica a morire di fame, mentre i brokers in giacca e cravatta cadono sempre in piedi. Ma possiamo farlo solo in Europa, con l'Unione Europa. E' ridicolo anche solo pensare che la Grecia, l'Italia o anche la Germania da sola possano cambiare le regole del gioco, (o quantomeno migliorarle). I singoli stati da soli contano meno di zero, ma uniti sotto la stessa bandiera rappresentano una potenza economica e politica che anche le nuove potenze emergenti devono prendere in considerazione.
Tornare a sognare una mitica età dell'oro (che non è mai neanche esistita) dove gli stati erano autosufficienti ed autarchici è solo un modo per dilazionare e rendere più gravi i problemi che possiamo fronteggiare solo tutti insieme: l'ambiente, la disoccupazione, l'economia sommersa, le mafie e la povertà. Se l'Europa fosse uno stato federale non riuscirebbe a risolvere nessuno di questi problemi, ma per lo meno avrebbe la possibilità di affrontarli.


In una puntata di report un giornalista domandava ad un ingegnere di Siviglia perché gli spagnoli sembrano essere in grado di utilizzare i fondi europei meglio degli italiani. Sapete cosa ha risposto?
 
 

domenica 9 ottobre 2011

Siamo già troppo affamati e troppo folli.



Steve Jobs è morto. Lascia ai posteri una compagnia che vale più dell'Argentina ed un testamento morale (il suo famoso discorso all'università di Stanford) che sembra destinato a guidare i giovani per molti anni a venire.
Non sono qui per parlare di Jobs: il suo incredibile ed entusiasmante genio non si discute, né si può mettere in dubbio. Basta andare su youtube e guardare uno dei suoi tanti video per capire che dietro a quest'uomo si cela un'intelligenza fuori dal normale, forse senza pari nel campo dell'imprenditoria.

E' il messaggio che ha voluto lasciare ai posteri che non smette di preoccuparmi. Il suo famoso discorso di Stanford è ricco di frasi fatte, citazioni destinate a imperversare nei social network per molto tempo. Cosa significano esattamente?
All'inizio "stay hungry, stay foolish" sembra essere il mantra perfetto per affrontare la vita. Una sorta di carpe diem post-moderno, un inno all'autorealizzazione. Poi però ti rendi conto che ci sono altre cose su cui riflettere, e che raggiungere il proprio successo professionale e personale in un mondo in cui metà della popolazione non sa neanche leggere non è un'idea così coraggiosa. E' solo un'idea capitalista.
Mi spiego meglio: non sono contro il capitalismo in sé per sé. Né tanto meno agogno una società comunista. Non sono così ingenuo. Credo però che la società moderna (globalizzata ed economicamente integrata) abbia delle gravi storture che prima o poi dovranno essere risolte, o per lo meno affrontate. Metà della popolazione mondiale non avrà mai l'opportunità di diventare Steve jobs, pur avendo il suo stesso genio e le sue stesse capacità. Ci sono molti ventenni (anche in Italia) che sono “affamati”, ma non di sogni e di speranze, ma di cibo.
L'autorealizzazione è importantissima. Ognuno deve cercare un lavoro adatto alle sue capacità e le sue aspirazioni. Ma non è l'unica cosa che conta. Io voglio realizzarmi, ma preferisco farlo in un sistema che permetta a tutti di raggiungere almeno in parte i propri sogni. Sebbene i laureati di stanford avranno tutte le possibilità di essere felici, ci sono molti altri ragazzi che non potranno. Dobbiamo preoccuparci anche per loro.
Se “stay hungry, stay foolish” significa combattere per i propri interessi ed i propri sogni anche a costo di sacrificare quelli degli altri, allora io ho bisogno di cercarmi un altro mantra per affrontare la vita. Qualcosa che forse avrà un impatto meno forte, qualcosa che forse non sarà condiviso su facebook, ma che perlomeno non mi farà sentire vuoto dentro.
La figura di Steve Jobs è troppo complessa, e non può essere liquidata con una sua prematura santificazione. Oltre al discorso a Stanford, mi piacerebbe che circolassero per la rete anche analisi critiche sul suo modo di intendere internet e la tecnologia in generale. Mi piacerebbe che gli utenti della mia stessa età si concentrassero sulle sue idee e sul modo in cui ha diretto la sua azienda, non solo sul numero incredibile di zero che ha aggiunto sul suo conto in banca. Forse, prima ancora che essere affamati e folli, dobbiamo essere un po' assennati e critici. Forse, e dico forse, non dobbiamo avere così tanta fretta di creare nuovi miti. Quelli vecchi hanno già fatto abbastanza danni.

sabato 9 luglio 2011

Lettera aperta all’onorevole avvocato Niccolò Ghedini.

Carissimo Onorevole avvocato Niccolò Ghedini,
Sono un giovane studente della facoltà di giurisprudenza che le scrive questa lettera aperta (che sicuramente lei non avrà mai modo di leggere) per farle presente un’importante questione che credo la riguardi direttamente.

Lei  infatti, oltre ad essere un deputato del  Parlamento italiano, è il principale avvocato del nostro Presidente del Consiglio. Questo fa di lei il penalista più conosciuto d’Italia e, (credo), un esempio da seguire per molti giovani studenti di legge.

Ma proprio in questa sua doppia identità si annida il fulcro della questione. E’ sicuro di rappresentare un buon esempio per i futuri giuristi? Mi riesce infatti difficile capire come riesce a portare avanti il suo doppio incarico con imparzialità. Come fa ad esercitare il suo ruolo di parlamentare nell’interesse di tutti e quello di avvocato nell’interesse di uno solo?

E se anche lei fosse, come io non dubito, in completa buona fede, mi chiedo comunque cosa succeda quando è chiamato in parlamento ad esprimere il suo voto su questioni che magari, pur danneggiando il suo principale cliente, giovano all’intera nazione.

So già cosa risponderebbe a queste mia domande. Direbbe che non c’è alcuna norma che la costringe a scegliere tra l’essere parlamentare ed essere l’ avvocato del premier, potendo lei espletare entrambe le 
funzioni senza incorrere in alcun reato.

Ma il problema etico e morale rimane. E’ stato votato e percepisce uno stipendio (notevole) per  amministrare la cosa pubblica nell’interesse di tutti, eppure è allo stesso tempo (pagato) e chiamato nelle aule dei tribunali a difendere i bisogni di uno solo. Mi domando quale interesse prevalga nella stesura delle leggi che poi non avranno effetti solamente sul suo cliente, ma sui cittadini tutti.

Forse lei si limiterebbe a ricordarmi che numerosi parlamentari di entrambi gli schieramenti esercitano la libera professione congiuntamente con l’incarico parlamentare. Ed io le direi che ciò rimane comunque un brutto esempio per le generazioni future. Sarebbe bello se proprio lei si impegnasse in parlamento con una proposta di legge che vieti  tali commistioni.

Sarei infatti più tranquillo se sapessi con certezza che i politici che decidono sul mio futuro fossero 
 concentrati unicamente su quello.

Grazie dell’attenzione,
Francesco Pennesi.

mercoledì 6 luglio 2011

L'IMPATTO DELLA MANOVRA FINANZIARIA SU GIOVANI E UNIVERSITA'


La manovra economico-finanziaria che il Governo sta predisponendo, tra i mille distinguo anche interni alla maggioranza parlamentare, rappresenta senza dubbio l’ennesima stangata su un paese che ormai da anni vive sull’orlo del tracollo.
Il disagio economico e la condizione sostanziale di precarietà sociale e lavorativa sono, oggi, sotto gli occhi di tutti. In un quadro ormai drammatico, il Governo, che fa?  Innanzitutto i soliti  giochini e proclami sulla giustizia, in particolare intercettazioni, per mettere al riparo le vari lobby economiche che spuntano come funghi, e modifiche del codice di procedura civile per proteggere la Fininvest (azienda di famiglia) da un risarcimento di 750 Milioni di Euro. E poi elabora una manovra  da 47 Miliardi di Euro, per pareggiare i disavanzi e risanare i conti, come richiesto dall’Unione Europea.
Fin qui, come vedrete, nulla di strano.
Tuttavia, alcune misure della finanziaria altro non sono se non l’ennesima batosta sui cittadini, sulle classi sociali meno abbienti e sui giovani.
Non potendo ora entrare nel merito delle misure predisposte da Tremonti e dal suo ministero, mi limito a valutare come il costo della manovra (che peraltro potrebbe essere ripagata per metà con il denaro pubblico che andremo ad investire sulla TAV, circa 22 miliardi) non inficia minimamente sui grandi capitali e sulle fasce di reddito medio- alte. Piuttosto, va ad incidere su dipendenti pubblici, (vedi blocco del turn-over e blocco degli aumenti stipendiali) sui pensionati (vedi la rivalutazione delle pensioni dai 1400 Euro ai 2300 Euro) e come dicevo sui giovani.
Entrando però nel merito della questione Università, potremmo già da ora fare un piccolo pronostico su ciò che ci aspetta.
Oltre ai noti tagli in vigore (leggi dal 2008 ad oggi) che hanno già comportato l’aumento della tassazione in buona parte degli atenei italiani e la diminuzione delle borse di studio, l’attuale manovra, attraverso un taglio di 9 Miliardi di Euro agli enti locali, aggiuntivo a quello già previsto dalle precedenti finanziarie, non farà altro che ridurre ancor di più i servizi erogati agli studenti universitari.
Come sappiamo, quei servizi, quali alloggi, trasporti, ristorazione,ecc., garantiti a idonei e vincitori delle borse di studio per requisiti reddituali e/o di merito, sono per la quasi interezza erogati dalle Regioni, attraverso l’ente strumentale per il diritto allo studio (ERSU), attraverso un co-finanziamento Stato- Regioni.
Vista la drastica riduzione del fondo statale e l’ulteriore taglio alle Regioni, la diminuzione dei servizi e delle borse sembra quasi scontata.
Per non parlare poi di un ipotizzabile aumento della tassa regionale sul diritto allo studio. Attualmente questa ammonta a 90 Euro ed è compresa nel totale che gli studenti pagano nelle due rate della retta.
Già per l’anno accademico 2011-2012 la Regione Marche vorrebbe portare la quota da 90 a 105 Euro.
E’ più che ipotizzabile un ulteriore aggravio negli anni a venire.
Tutto ciò si collega anche ad un decreto legge con il quale il Governo vorrebbe riformare il diritto allo studio. Si tratta per il momento solo di una bozza ufficiosa sulla quale si stanno confrontando le varie rappresentanze e che a breve dovrebbe essere presentata alla competente commissione parlamentare. Un veloce sguardo mi ha permesso di capire però i presupposti di questo decreto. Come spesso è accaduto nelle ultime proposte normative, c’è l’esplicita nota “senza oneri finanziari aggiuntivi per lo Stato”.
In un quadro così pessimista qualcuno potrebbe obiettare che si tratta soltanto di ipotesi da me elaborate.
Tuttavia, la realtà di questi ultimi 3-4 anni ha dimostrato, più di qualsiasi parola vana, come tutte le ipotesi fatte sono poi divenute verità, con tutti i guai conseguenti.
Allo stesso tempo limitarsi però ad un’analisi sarebbe riduttivo.
E allora occorre guardare, anche con ottimismo, al futuro. Rimboccarci le maniche lavorando efficacemente per salvaguardare sapere e formazione.
E proprio una delle misure su cui le rappresentanze studentesche, insieme agli studenti tutti, dovrebbero spingere, è la riforma della contribuzione studentesca, con una rivisitazione delle fasce di reddito (aumento delle fasce con più scaglioni reddituali) al fine di far pagare di più a  chi ne ha la possibilità (redditi alti) e salvaguardare invece, come scritto “ad imperitura memoria” nella nostra Costituzione, i meno abbienti e privi di mezzi.


MARCO MONALDI
Senatore Accademico UniMc
Consigliere degli studenti UniMc

martedì 5 luglio 2011

La TAV: l'ennesima prosopopea tragicomica italiana.

La Tav rappresenta un’opportunità o un inutile costo per l’Italia? Non posso certo essere io a rispondere, dato che non voglio accodarmi ai numerosissimi “esperti” che cercano di dare una risposta al quesito senza avvalersi dello straccio di un numero, una prova, uno studio o un’analisi. Disgraziatamente, come sempre accade nelle questioni di una certa rilevanza, in Italia si improvvisano tutti professori .

L’opera avrà un impatto invasivo sul territorio, inutile negarlo. E per costruirla servono molti più soldi di quelli che abbiamo: 25 miliardi di euro, di cui solamente seicento provenienti dall’Unione Europea. Gli altri dovremmo metterli noi, anche se non si sa bene come, dato che abbiamo il terzo debito pubblico del mondo e dobbiamo già tagliare 43 miliardi di euro di spese pubbliche.

Quei pochi che non si sono lasciati sopraffare dall’isteria collettiva e si sono basati su dati concreti concordano solamente in una cosa: la linea ferroviaria già esistente tra Piemonte e Francia viene SOTTOutilizzata, mentre il trasporto su gomma viene SOVRAutilizzato.  Poi alcuni sostengono che prima di costruire un’opera mastodontica come la Tav sarebbe meglio potenziare i tratti già esistenti, altri dicono che se si abbandonassero i lavori si perderebbe un importante svincolo che costituisce una (notevole) spesa iniziale ma un investimento per il futuro.

TUTTI  sembrano essere d'accordo solamente su un punto. La Tav, per poter funzionare una volta costruita, dovrà dirottare il trasporto su gomma (i numerosi tir che ingolfano le nostre autostrade) verso quello a rotaie. E tale trasformazione non avverrà per magia o per grazia divina, ma occorrerà una politica di trasporti SERIA. Voi avete mai visto una politica seria e lungimirante in Italia? Ricordo che dobbiamo ancora finire la Salerno Reggio Calabria.
Morale della favola: io non so se costruire la Tav sia una buona idea. Ma il rischio che diventi un’immensa cattedrale del deserto mi sembra dietro l’angolo.

Ma è su un altro punto che desidero soffermarmi. Perché in Italia ogni progetto tecnico, che dovrebbe quindi suscitare delle discussioni di carattere tecnico, diventa una tragedia politico sociale?
La tav è l’ennesima prosopopea tragicomica italiana. Dimostra la nostra totale incapacità di uscire fuori da schemi mentali ed ideologici ormai vecchi, stantii.

Io non so perché moltissimi ragazzi sentano il bisogno di diventare black bloc. Non so perché lo fanno, non so cosa sperino di ottenere. Credo però che facciano un danno a tutti quelli che protestano legittimamente e pacificamente.  Offuscano i veri motivi della protesta.
E non capisco neanche perché ogni volta che ci sono gli scontri tra polizia e manifestanti la questione diventa politica. Quelli di destra si schierano con quelli che hanno i manganelli, quelli di sinistra con quelli che hanno i sassi. Come se gli scontri fossero una partita di calcio e non una sconfitta per tutti.

La verità è che la politica è felice dei combattimenti, della violenza. Perché così almeno può radicalizzare ogni cosa, può dire che sono solo i centri sociali che non vogliono l’opera. Ed in questo modo non deve dare spiegazioni, non deve dare numeri sui costi e sull’utilità dell’opera. Così può evitare le spiegazioni.
Torno a ripetere: non sto dicendo che la Tav non debba essere fatta. Sto dicendo che ai piani alti nessuno si è preoccupato di spiegarci i perché, i come, i quando.  Per loro è più facile andare avanti per slogan, è più facile dire “se non la facciamo restiamo fuori dall’Europa”, “dobbiamo farla se no perdiamo i fondi europei”.
Se si cercasse maggiormente il dialogo, forse si toglierebbe benzina alla macchina della violenza.
http://www.ilpost.it/filippozuliani/2011/07/01/i-numeri-della-tav
/http://www.ilpost.it/2011/07/05/tav-valsusa/

venerdì 1 luglio 2011

Quando qualcuno si crede di sinistra, ma in realtà è solo antiberlusconiano.



Un tempo, ormai molto lontano, quando i comunisti esistevano ancora, gli uomini di sinistra volevano modificare la costituzione  per creare una società in cui il divario tra i ceti fosse meno lacerante. Oggi invece guai a che la tocca, perché occorre difenderla da Berlusconi  e dalle sue leggi ad personam.

Un tempo, ormai dimenticato, gli uomini di sinistra si preoccupavano prima di tutti degli ultimi. Adesso invece bisogna preoccuparsi un po’ di tutti, perché se no i ricchi votano tutti Berlusconi.

Un tempo, (chissà se è esistito!?), le persone di sinistra avevano il coraggio di indignarsi e prendere posizioni forti, ma adesso è meglio non farlo, perché altrimenti ti accusano di non essere moderato.

Un tempo, forse troppo commiserato, la sinistra era  dalla parte dei lavoratori. Adesso invece bisogna dar retta anche agli industriali, perché gli operai  tanto votano lega, e se non la votano sono bamboccioni.

Un tempo, qualche generazione prima della mia, gli uomini di sinistra cercavano un altro Berlinguer. Adesso si spera in Montezemolo, che è poi un Berlusconi di sinistra.

Un tempo, quando ancora si iniziavano le frasi con “c’era una volta”, la sinistra voleva una vera separazione tra stato e chiesa. Poi sono arrivati Letta e Fioroni.

Un tempo, un tempo, un tempo. Soffro di primitivismo. Vorrei una sinistra che forse non è mai neanche esistita. O forse è esistita, ma si è estinta con la nascita del Pd (e di Renzi).

Io sono di sinistra. O forse sono solo antiberlusconiano?

sabato 25 giugno 2011

Sul manifesto del Pd.


Le promotrici della bella manifestazione "se non ora,quando?" si sono scandalizzate, insieme a molte altre femministe,  per questo manifesto raffigurante una ragazza che cerca di tenere giù la gonna a seguito di una folata di vento (che secondo i geni del Pd romano dovrebbe rappresentare il "vento del cambiamento").
Il fatto che siano rappresentate solo le gambe rappresenta per molte una forma di maschilismo ed un'ennesima faccia del celodurismo berlusconiano.

Si possono dire tante cose sul Pd, ma questa accusa mi sembra priva di fondamento. Il manifesto è banale, semplicistico, brutto e dalla grafica penosa,ma non è offensivo. Occorre combattere in tutti i modi la mercificazione del corpo femminile e raggiungere la parità (effettiva) tra uomo e donna, ma indignarsi per due gambe nude (quando le donne hanno combattutto secoli per poterle esporre) mi sembra un brutto eco di tempi in cui gli uomini volevano le loro mogli tutte coperte.

Su tale argomento vorrei riportare le parole scritte su un post dal collettivo femminista Dacia Maraini, più qualificato di me nel commentare le questioni riguardanti i diritti delle donne:


"Quelle due gambe pudiche nel gesto e impudiche nell’immaginario son gambe di donna,sono una donna,chissà che non corrano dove le porta il vento,chissà che non siano il vento,chissà se questo vento alza solo illusioni,chissà se è un tornado che spazzerà via tutto,la gamba destra e la sinistra,gli orpelli,la gonna, le scarpette rosse dal magico potere di danzare come danzano le divinità,chissà se rimarremo nudi e non esisterà nemmeno il termine merce. La mercificazione è la riduzione di beni,di valori, che non hanno di per sé natura commerciale a merce di scambio. Ma cosa al mondo ha una natura commerciale?cos’è nato merce?Se è deprecabile l’uso di un corpo,cosa c’è di tranquillo e giusto nella mercificazione del cibo e della terra? Cosa c’è di felice nell’appropriazione della necessità e nella sottrazione della necessità naturale?Non ci sono gradazioni di scandalo,non ci sono problemi isolati,l’assurdità non può essere più assurda di se stessa. A chi interessa la parità in un sistema impari?Perchè raggiungere una parità con gli Infelici? Niente parità,ma identità e superamento. Abbiamo bisogno di redini"

sabato 11 giugno 2011

Favorire l’astensionismo è vigliacco ed antidemocratico.

Siamo arrivati alle comiche finali. Il governo Berlusconi, dopo averci fatto spendere trecento milioni di euro opponendosi all’accorpamento del referendum con le elezioni amministrative, adesso invita apertamente gli italiani all’astensione.
Si tratta di un fatto grave: il referendum è l’unico strumento di democrazia diretta previsto dalla nostra costituzione ed il governo dovrebbe incoraggiarne l’utilizzo, non disincentivarlo. Perché non recarsi alle urne non significa esercitare un diritto, ma ammettere implicitamente che non siamo abbastanza maturi per decidere sul nostro futuro. Vogliamo forse un paese che ha sempre bisogno di delegare le decisioni più importanti ai politici di professione?
Nel corso degli ultimi anni sia i governi di destra che quelli di sinistra hanno implicitamente invitato all’astensione sulla base di interessi transitori. Ma Berlusconi ha superato ogni limite:modificando delle norme con l’unico intento di depotenziare il referendum ha dimostrato che il premier cerca il consenso del suo elettorato solo quando è in maggioranza.
Incitare all’estensione è antidemocratico perché spinge i cittadini a disimpegnarsi alla cosa pubblica ed è vigliacco perché punta al non raggiungimento del quorum avvalendosi anche dell’inerzia di tutti gli indifferenti per scelta, che non votano da tempo né alle elezione né ai referendum. Una massa di persone destinate a crescere, con questi politici in parlamento.
L’unico modo per cambiare qualcosa in democrazia è attraverso la partecipazione alle sorti della nazione. Partecipazione culturale, civile, volontaria. Ma anche la partecipazione è inutile senza il voto. L’importante è esercitare il proprio diritto di voto, ed esercitarlo bene. Andiamo a votare, ci sarà sempre tempo di delegare ad altri il nostro futuro.   

giovedì 9 giugno 2011

I mali del giornalismo: Santoro cacciato dalla rai

Michele Santoro, giornalista e conduttore televisivo, ha consensualmente rescisso il contratto che lo legava alla rai. La sofferta decisione è arrivata dopo l’editto bulgaro, il ritorno in rai grazie ad una sentenza e due anni di mobbing. L’addio era inevitabile.
Anno zero è stato il postribolo televisivo più famoso d’Italia. Senza l’appuntamento fisso con Travaglio e Vauro la rai non sarà più la stessa.
Ho sempre seguito Santoro  pur avendo molte riserve sul suo modo di fare televisione. Mi è sempre sembrato lontano dal prototipo di giornalista che vorrei popolasse la tv pubblica: imparziale, equidistante tra le parti ed oggettivo. Spesso l’odio verso Berlusconi e la sua campagna di sopravvivenza all’interno della rai hanno offuscato le sue capacità giornalistiche, rendendolo più  un simbolo dell’antiberlusconismo che un professionista superpartes.
Eppure Anno zero era un prodotto di qualità: gli ottimi servizi, gli accattivanti editoriali di Travaglio e la vis dialettica del conduttore hanno tenuto incollati sullo schermo moltissimi spettatori, portando  molti soldi nelle casse vuote della rai. E allora uno si chiede: quale azienda rimuoverebbe dal mercato un prodotto che vende? Solo un’azienda gestita da stupidi, o peggio, da politici.
Castelli si lamenta sostenendo che il canone è la tassa italiana più evasa, ma di chi è la colpa? Gli italiani pagano il canone per vedere professionisti liberi dai vincoli dei partiti,capaci di mandare in onda prodotti che informino i cittadini. Invece di mettere i bastoni tra le ruote a Santoro, trasformandolo in un martire, avrebbero potuto lasciarlo lavorare in pace: ci avrebbero guadagnato tutti, soprattutto la rai.
Avevo sperato che Santoro tentasse di dare vita a forme di giornalismo nuove, come il riuscitissimo esperimento in streaming di rai per una notte, invece sembra che traslocherà a la7. Io continuerò a seguirlo comunque. Spero solo che in un ambiente più sereno ritorni a fare il giornalista, liberandosi dal fardello di dover combattere il berlusconismo da solo. I professionisti come lui ci servono per il lavoro di indagine giornalistica. Per controllare i politici, non per combatterli.
Torno a ripeterlo: i giornalisti hanno il compito di informare i cittadini, analizzare le scelte dei politici, tallonare da vicino gli amministratori affinché sappiano che non possono fare ciò che vogliono, perché c’è sempre qualcuno che li controlla. Santoro, pur tra eccessi e manie di protagonismo, faceva questo lavoro meglio di molti altri.
Torno a ripeterlo: serve una riforma drastica della rai. Altrimenti ci troveremo solo con i vespa ed i paragone.

mercoledì 8 giugno 2011

I mali d'Italia (1): un certo tipo di giornalismo.

Il ruolo dei giornalisti è fondamentale per il funzionamento della democrazia.Il loro compito è
quello di informare correttamente i cittadini affinché utilizzino il principale strumento
democratico (il voto) in maniera consapevole.Un giornalista deve essere imparziale, preciso e completo. Deve riportare le notizie senza filtrarle con le proprie idee.Presentando la realtà, non la sua verità.

Se vogliamo ritornare a crescere abbiamo bisogno di una nuova mentalità ed una nuova classe politica. Ma l'unico modo per ottenere entrambe le cose è attraverso una riforma(legale e morale) del modo di fare giornalismo.Mi spiego meglio.
I politici fanno quello che fanno in Italia perché noi lo permettiamo. Da quando abbiamo smesso di indignarci per i loro comportamenti, questi sono divenuti senza freni. Se in Germania un politico viene corrotto (o fa una promessa che poi non mantiene) perderà la fiducia dell'elettorato e non verrà più votato, a prescindere dalla sentenza passata in giudicato. In Italia invece prendere mazzette o fare promesse a vuoto ci sembra la normalità,quindi i politici continuano a farlo. Indignarci per i politici che non si occupano del bene pubblico ma del proprio tornaconto personale non può più essere un optional, ma un obbligo.Ricordarsi nel segreto delle urne della disonestà materiale ed intellettuale di coloro che ci vorrebbero governare è il miglior modo per modificare la democrazia.

Ma come facciamo a non votare i politici disonesti, se non sappiamo quali sono? Ed è qui che entrano in gioco i giornalisti: devono essere i mastini della democrazia. Devono scavare a fondo nelle parole e nei comportamenti dei politici per spiegare ai cittadini quello che hanno e non hanno fatto,devono controllare e vigilare sui comportamenti dei potenti prima ancora dei magistrati. Per svolgere questo ruolo, ovviamente, occorre che non parteggino per i politici, ma per i cittadini. Un giornalista stipendiato da un politico è un giornalista inutile: interpreterà sempre le informazioni con il filtro della parzialità, volente o nolente. L'indipendenza deve essere la prima caratteristica dei giornalisti.

Le scelte compiute nelle sedi dei giornali sono importanti tanto quelle compiute nelle segreterie dei partiti. Se coloro che ci informano avessero deciso di parlare meno di cronaca nera e più di attualità, con maggiori servizi di analisi e di ricerca,  l'informazione pubblica sarebbe più consapevole e forse adesso non avremmo questo debito pubblico e questi politici.Occorre che i giornalisti si disinteressino un pò dell'auditel e si occupino maggiormente dei loro spettatori e dei loro lettori.

Alcune cose da fare subito:
1) Soppressione delle sovvenzioni pubbliche ai giornali.
2) riforma del servizio radiotelevisivo italiano. (Rai)
3)riforma dell'ordine dei giornalisti