sabato 25 giugno 2011

Sul manifesto del Pd.


Le promotrici della bella manifestazione "se non ora,quando?" si sono scandalizzate, insieme a molte altre femministe,  per questo manifesto raffigurante una ragazza che cerca di tenere giù la gonna a seguito di una folata di vento (che secondo i geni del Pd romano dovrebbe rappresentare il "vento del cambiamento").
Il fatto che siano rappresentate solo le gambe rappresenta per molte una forma di maschilismo ed un'ennesima faccia del celodurismo berlusconiano.

Si possono dire tante cose sul Pd, ma questa accusa mi sembra priva di fondamento. Il manifesto è banale, semplicistico, brutto e dalla grafica penosa,ma non è offensivo. Occorre combattere in tutti i modi la mercificazione del corpo femminile e raggiungere la parità (effettiva) tra uomo e donna, ma indignarsi per due gambe nude (quando le donne hanno combattutto secoli per poterle esporre) mi sembra un brutto eco di tempi in cui gli uomini volevano le loro mogli tutte coperte.

Su tale argomento vorrei riportare le parole scritte su un post dal collettivo femminista Dacia Maraini, più qualificato di me nel commentare le questioni riguardanti i diritti delle donne:


"Quelle due gambe pudiche nel gesto e impudiche nell’immaginario son gambe di donna,sono una donna,chissà che non corrano dove le porta il vento,chissà che non siano il vento,chissà se questo vento alza solo illusioni,chissà se è un tornado che spazzerà via tutto,la gamba destra e la sinistra,gli orpelli,la gonna, le scarpette rosse dal magico potere di danzare come danzano le divinità,chissà se rimarremo nudi e non esisterà nemmeno il termine merce. La mercificazione è la riduzione di beni,di valori, che non hanno di per sé natura commerciale a merce di scambio. Ma cosa al mondo ha una natura commerciale?cos’è nato merce?Se è deprecabile l’uso di un corpo,cosa c’è di tranquillo e giusto nella mercificazione del cibo e della terra? Cosa c’è di felice nell’appropriazione della necessità e nella sottrazione della necessità naturale?Non ci sono gradazioni di scandalo,non ci sono problemi isolati,l’assurdità non può essere più assurda di se stessa. A chi interessa la parità in un sistema impari?Perchè raggiungere una parità con gli Infelici? Niente parità,ma identità e superamento. Abbiamo bisogno di redini"

sabato 11 giugno 2011

Favorire l’astensionismo è vigliacco ed antidemocratico.

Siamo arrivati alle comiche finali. Il governo Berlusconi, dopo averci fatto spendere trecento milioni di euro opponendosi all’accorpamento del referendum con le elezioni amministrative, adesso invita apertamente gli italiani all’astensione.
Si tratta di un fatto grave: il referendum è l’unico strumento di democrazia diretta previsto dalla nostra costituzione ed il governo dovrebbe incoraggiarne l’utilizzo, non disincentivarlo. Perché non recarsi alle urne non significa esercitare un diritto, ma ammettere implicitamente che non siamo abbastanza maturi per decidere sul nostro futuro. Vogliamo forse un paese che ha sempre bisogno di delegare le decisioni più importanti ai politici di professione?
Nel corso degli ultimi anni sia i governi di destra che quelli di sinistra hanno implicitamente invitato all’astensione sulla base di interessi transitori. Ma Berlusconi ha superato ogni limite:modificando delle norme con l’unico intento di depotenziare il referendum ha dimostrato che il premier cerca il consenso del suo elettorato solo quando è in maggioranza.
Incitare all’estensione è antidemocratico perché spinge i cittadini a disimpegnarsi alla cosa pubblica ed è vigliacco perché punta al non raggiungimento del quorum avvalendosi anche dell’inerzia di tutti gli indifferenti per scelta, che non votano da tempo né alle elezione né ai referendum. Una massa di persone destinate a crescere, con questi politici in parlamento.
L’unico modo per cambiare qualcosa in democrazia è attraverso la partecipazione alle sorti della nazione. Partecipazione culturale, civile, volontaria. Ma anche la partecipazione è inutile senza il voto. L’importante è esercitare il proprio diritto di voto, ed esercitarlo bene. Andiamo a votare, ci sarà sempre tempo di delegare ad altri il nostro futuro.   

giovedì 9 giugno 2011

I mali del giornalismo: Santoro cacciato dalla rai

Michele Santoro, giornalista e conduttore televisivo, ha consensualmente rescisso il contratto che lo legava alla rai. La sofferta decisione è arrivata dopo l’editto bulgaro, il ritorno in rai grazie ad una sentenza e due anni di mobbing. L’addio era inevitabile.
Anno zero è stato il postribolo televisivo più famoso d’Italia. Senza l’appuntamento fisso con Travaglio e Vauro la rai non sarà più la stessa.
Ho sempre seguito Santoro  pur avendo molte riserve sul suo modo di fare televisione. Mi è sempre sembrato lontano dal prototipo di giornalista che vorrei popolasse la tv pubblica: imparziale, equidistante tra le parti ed oggettivo. Spesso l’odio verso Berlusconi e la sua campagna di sopravvivenza all’interno della rai hanno offuscato le sue capacità giornalistiche, rendendolo più  un simbolo dell’antiberlusconismo che un professionista superpartes.
Eppure Anno zero era un prodotto di qualità: gli ottimi servizi, gli accattivanti editoriali di Travaglio e la vis dialettica del conduttore hanno tenuto incollati sullo schermo moltissimi spettatori, portando  molti soldi nelle casse vuote della rai. E allora uno si chiede: quale azienda rimuoverebbe dal mercato un prodotto che vende? Solo un’azienda gestita da stupidi, o peggio, da politici.
Castelli si lamenta sostenendo che il canone è la tassa italiana più evasa, ma di chi è la colpa? Gli italiani pagano il canone per vedere professionisti liberi dai vincoli dei partiti,capaci di mandare in onda prodotti che informino i cittadini. Invece di mettere i bastoni tra le ruote a Santoro, trasformandolo in un martire, avrebbero potuto lasciarlo lavorare in pace: ci avrebbero guadagnato tutti, soprattutto la rai.
Avevo sperato che Santoro tentasse di dare vita a forme di giornalismo nuove, come il riuscitissimo esperimento in streaming di rai per una notte, invece sembra che traslocherà a la7. Io continuerò a seguirlo comunque. Spero solo che in un ambiente più sereno ritorni a fare il giornalista, liberandosi dal fardello di dover combattere il berlusconismo da solo. I professionisti come lui ci servono per il lavoro di indagine giornalistica. Per controllare i politici, non per combatterli.
Torno a ripeterlo: i giornalisti hanno il compito di informare i cittadini, analizzare le scelte dei politici, tallonare da vicino gli amministratori affinché sappiano che non possono fare ciò che vogliono, perché c’è sempre qualcuno che li controlla. Santoro, pur tra eccessi e manie di protagonismo, faceva questo lavoro meglio di molti altri.
Torno a ripeterlo: serve una riforma drastica della rai. Altrimenti ci troveremo solo con i vespa ed i paragone.

mercoledì 8 giugno 2011

I mali d'Italia (1): un certo tipo di giornalismo.

Il ruolo dei giornalisti è fondamentale per il funzionamento della democrazia.Il loro compito è
quello di informare correttamente i cittadini affinché utilizzino il principale strumento
democratico (il voto) in maniera consapevole.Un giornalista deve essere imparziale, preciso e completo. Deve riportare le notizie senza filtrarle con le proprie idee.Presentando la realtà, non la sua verità.

Se vogliamo ritornare a crescere abbiamo bisogno di una nuova mentalità ed una nuova classe politica. Ma l'unico modo per ottenere entrambe le cose è attraverso una riforma(legale e morale) del modo di fare giornalismo.Mi spiego meglio.
I politici fanno quello che fanno in Italia perché noi lo permettiamo. Da quando abbiamo smesso di indignarci per i loro comportamenti, questi sono divenuti senza freni. Se in Germania un politico viene corrotto (o fa una promessa che poi non mantiene) perderà la fiducia dell'elettorato e non verrà più votato, a prescindere dalla sentenza passata in giudicato. In Italia invece prendere mazzette o fare promesse a vuoto ci sembra la normalità,quindi i politici continuano a farlo. Indignarci per i politici che non si occupano del bene pubblico ma del proprio tornaconto personale non può più essere un optional, ma un obbligo.Ricordarsi nel segreto delle urne della disonestà materiale ed intellettuale di coloro che ci vorrebbero governare è il miglior modo per modificare la democrazia.

Ma come facciamo a non votare i politici disonesti, se non sappiamo quali sono? Ed è qui che entrano in gioco i giornalisti: devono essere i mastini della democrazia. Devono scavare a fondo nelle parole e nei comportamenti dei politici per spiegare ai cittadini quello che hanno e non hanno fatto,devono controllare e vigilare sui comportamenti dei potenti prima ancora dei magistrati. Per svolgere questo ruolo, ovviamente, occorre che non parteggino per i politici, ma per i cittadini. Un giornalista stipendiato da un politico è un giornalista inutile: interpreterà sempre le informazioni con il filtro della parzialità, volente o nolente. L'indipendenza deve essere la prima caratteristica dei giornalisti.

Le scelte compiute nelle sedi dei giornali sono importanti tanto quelle compiute nelle segreterie dei partiti. Se coloro che ci informano avessero deciso di parlare meno di cronaca nera e più di attualità, con maggiori servizi di analisi e di ricerca,  l'informazione pubblica sarebbe più consapevole e forse adesso non avremmo questo debito pubblico e questi politici.Occorre che i giornalisti si disinteressino un pò dell'auditel e si occupino maggiormente dei loro spettatori e dei loro lettori.

Alcune cose da fare subito:
1) Soppressione delle sovvenzioni pubbliche ai giornali.
2) riforma del servizio radiotelevisivo italiano. (Rai)
3)riforma dell'ordine dei giornalisti




sabato 4 giugno 2011

QUALCUNO CI SALVI DALLA MODERAZIONE.


Rimarrà lungamente impresso nella  mente di molti lo sconforto dei dirigenti del Pd milanese alla vittoria di Pisapia alle primarie,(http://tg24.sky.it/tg24/politica/2010/11/15/primarie_pd_milano_giuliano_pisapia_stefano_boeri.html), per non parlare dei ridicoli tentativi di Enrico Letta, appena vinte le elezioni milanesi, di spiegare ai colleghi del Pdl che, nonostante il passato ed il presente semicomunista, Pisapia è un moderato.
Ad ogni elezione sempre la stessa storia: i berlusconiani ed i leghisti accusano il centrosinistra di essere una massa di comunisti, mangiatori di bambini, amici degli immigrati e organizzatori di centri sociali a tradimento.
Ma non sono le accuse troglodite che feriscono l’elettorato, ma i modi pietosi con cui alcuni componenti della sinistra italiana giurano e spergiurano di essere moderati, di non essere estremisti, di non aver mai assaggiato un bambino. Non  sarà ora di dire basta?
Cosa vuol dire essere moderato? I politici devono per mestiere compiere delle scelte, anche dolorose. Serve coraggio, competenza, lungimiranza, conoscenza, studio e analisi critica dei problemi, non moderazione.

E poi l’accusa di estremismo, vorrei ricordare ai cari compagni del pd, arriva da coloro che dal 1994 hanno messo il parlamento al servizio di un uomo solo, da coloro che definisco i magistrati “un cancro incurabile”. Ci chiamano estremisti le stesse persone che hanno accusato Pisapia di voler trasformare Milano in una zingaropoli, che fino a pochi anni fa chiedevano la secessione del nord dal sud, che fino all’altro ieri gridavano alle ronde e alla caccia al marocchino. A me, sinceramente, tanto moderati non sembrano.

Se poi si dice moderato ma si intende “berlusconiano” allora, come diceva giustamente qualcuno, occorre ridare alle parole il loro vero significato. Bisogna lavare i nostri vocaboli dalla sporcizia del lessico berlusconiano. Dobbiamo smetterla di utilizzare le parole nel modo in cui le utilizza Berlusconi, dobbiamo ridare alla nostra lingua il suo significato originario. Moderato è un aggettivo che va bene per i toni, per i modi di fare, ma non per la politica. La politica non deve essere moderata, deve essere limpida, chiara, cristallina. Deve avere il coraggio di fare delle scelte e di farne partecipi gli italiani. L’unica vera riforma della seconda repubblica rimane l’euro. Non sarà tempo di abbandonare questo modo di fare moderato?

Talvolta ho come l’impressione che nella difesa ad oltranza del moderatismo vi è una difesa del cattolicesimo. Casini quando spergiura di essere l’unico moderato in parlamento sembra voglia dichiarare di essere l’unico cattolico. Ma è tempo di estraniare la politica dalla fede. In cosa creda il politico che amministra il mio territorio mi è completamente indifferente, purché amministri bene.

Forse la conclusione migliore di questo articolo sarebbe quella di invitare il centrosinistra a non guardare ai moderati dell’Udc, ma di iniziare a disegnare una coalizione che guardi a sinistra. Ma se terminassi così questa mia invettiva, darei anche io un mio personale significato alla “moderazione”. Mentre le mie intenzioni erano chiare: ridare al termine un’accezione meno strumentale.
Perché bisogna essere moderati nei toni, nei modi e nelle parole. Ma non nelle idee.