martedì 20 marzo 2012

La stampa e le strane interpretazioni di Marx.

 
Oggi sul sito de La Stampa viene presentato un interessante articolo di Giovanna Zincone in cui consiglia ai sindacati italiani di diventare “promotori di modernizzazione”. Che si intenda per modernizzazione, tuttavia, non è dato saperlo. Ma procediamo con ordine. 

 
La giornalista sostiene:
“Paradossalmente proprio chi si propone come deciso difensore degli interessi dei lavoratori sembra aver dimenticato la lezione di Marx. Eppure una parte di quella lezione rappresenta un valido strumento per capire e gestire il passato prossimo e il presente. Il teorico del socialismo scientifico sosteneva - come è noto - che una profonda modificazione delle «forze di produzione», cioè delle tecnologie produttive, dei mezzi di trasporto e di comunicazione, della formazione e organizzazione del lavoro provoca un’altrettanto profonda modificazione dei rapporti di produzione, quindi dei rapporti di potere all’interno della sfera economica.
Tralascio i passi successivi delle tesi marxiste, come quella del dominio assoluto dell’economia sulle altre sfere, perché sono assai meno convincenti e utili.”
 
Ora, io non sono un grande esperto del pensiero marxista, ma utilizzarlo per sostenere che durante un periodo di trasformazioni economiche come quello che stiamo vivendo, anche il rapporto tra capitale e lavoro cambi, mi sembra legittimo. Utilizzarlo come base per invitare i sindacati a cedere diritti acquisiti sull'altare della modernità, mi pare quantomeno fantasioso.
E poi teorizzare il dominio assoluto dell'economia sulle altre sfere umane è di fatto “assai meno convincente ed utile: infatti non stiamo sempre a parlare di spread e di bilancio, no. Prima viene l'etica e la cultura, nel nostro paese come nel mondo.

 Le imprese sono diventate sempre più multiformi e cosmopolite: non possono permettersi di privilegiare a tutti i costi gli interessi dei lavoratori della patria di origine. Anche se, potendo, lo farebbero e lo fanno.
 
Altra teoria a mio modestissimo parere piuttosto bislacca. Gli imprenditori, potendo, non proteggono i lavoratori. Proteggono i loro interessi. Lo scopo di chi gestisce un'impresa è quello di creare profitti e, intendiamoci chiaro, questo è perfettamente legittimo. Ma se le leggi permettono agli imprenditori di delocalizzare ( nonostante abbiano ricevuto soldi pubblici) o di diminuire i diritti fondamentali dei lavoratori, questi ne approfitteranno. I rapporti tra capitale e lavoro non si possono basare sulla buona fede di una delle parti, ma su delle leggi certe e constantamente applicate. Sigma tau o Golden lady docet.
(Poi se parliamo di piccole imprese a conduzione familiare, chiaro che vogliono proteggere i loro lavoratori: sono o famigliari o amici. Ma se si parla di imprese “multiformi e cosmopolite”, immagino ci si riferisca ai grandi marchi)

Anche l’afflusso di manodopera immigrata contribuisce a ridurre il potere contrattuale della forza lavoro autoctona nella misura in cui questi lavoratori hanno meno protezioni. Infatti, storicamente i sindacati dei Paesi di immigrazione hanno alternato richieste di blocco della immigrazione con azioni a favore dei diritti dei lavoratori immigrati per scongiurare una competizione al ribasso.

 
Suona un po' strano. L'afflusso di manodopera immigrata, oltre ad essere fisiologico in un paese con un'economia sviluppata, è necessario sia per la crescita demografica che economica. Non ho mai sentito la Cgil richiedere un “blocco della immigrazione”, senza contare che in un paese (non l'Italia) dove l'immigrazione è regolarizzata e tutelata dalla legge, non produce nessuna lotta interna tra autoctoni e nuovi arrivati. Piuttosto riempie quelle categorie contributive lasciate vuote dal paese ospitante. 

Fortunatamente, seppure in questa condizione di debolezza strutturale, le organizzazioni dei lavoratori possono agire a proprio vantaggio, ottenendo buoni risultati. Proprio in una situazione di svantaggio strutturale è cruciale per le sorti dei lavoratori che i sindacati non sbaglino strategia. Per evitare che i datori di lavoro cerchino di proteggersi dai lavoratori nazionali occorre aumentare il valore di quel lavoro, incrementarne la produttività. Questo non implica solo lavorare di più e in modo più flessibile: si tratta di una condizione necessaria ma non sufficiente e che può essere temperata adottando altre politiche convergenti.
 
Colpo di grazia. Aumentare la produttività significa migliorare il know-how, il livello di preparazione e formazione professionale. Non lavorare di più ed in modo più flessibile.
E' naturale che le imprese italiane si trovino a competere in un mercato fattosi globale, con grandi potenze come Cina e Brasile che dispongono di infinite materie prime e mano d'opera a basso costo,ma non staremo mai al passo con i Brics diminuendo i nostri diritti. Per quanto si voglia flessibilizzare, tagliare, aumentare l'orario di lavoro, un lavoratore spagnolo,italiano o greco costerà sempre più che un cinese. E' un dato di fatto.
Quando l'Europa parlava di Flexsecurity, non credo si riferisse a questo. 

  La produttività infatti aumenta quando si utilizzano mezzi di produzione più sofisticati, quando si opera in contesti più ricchi di infrastrutture e di servizi alle imprese, quando si può contare su una giustizia più rapida e prevedibile. Aumenta quando si riducono le specifiche imposte che aggravano il costo del lavoro; quando i lavoratori diventano più competenti, dotati di una formazione migliore che risponda alle richieste del mercato; quando gli addetti vengono occupati in imprese competitive. Tutto questo implica che i sindacati, sul terreno delle relazioni industriali, hanno oggi più interesse a cooperare che ad alzare il livello del conflitto.
 
Ok, completamente d'accordo sulla prima parte. Ma continuo a non capire cosa si intenda per cooperare. Essere accondiscendenti con una riforma come quella spagnolo che ha riportato i lavoratori indietro di vent'anni? Oppure essere costruttivi? Perché se si tratta della prima ipotesi, allora fanno bene i sindacati a fare quello che fanno: in Spagna Rajoy è passato sopra i rappresentanti dei lavoratori, adottando un testo di legge che distrugge diritti che dovrebbero essere intoccabili.
Per questo sono assolutamente d'accordo con Monti e Napolitano quando dicono che occorre una riforma condivisa: perché deve essere una riforma fatta per il sistema produttivo e per i lavoratori. Non sulla loro pelle.

Non solo. Hanno pure interesse, ma questa è un’operazione assai più complessa, a contenere l’impatto negativo della globalizzazione e delle regole che l’accompagnano. La drastica riduzione dell’export cinese negli ultimi mesi potrebbe essere un fatto stagionale, ma in ogni caso dimostra che l’Europa resta un potente attore economico, un’indispensabile area di consumo globale. Quindi l’Europa è in grado di contrattare per proteggere le condizioni di vita dei propri lavoratori, dei propri cittadini. Se lo vuole. Per farlo - come ci ha ricordato su questo giornale l’ambasciatore tedesco a Roma - deve diventare un attore economico internazionale forte e coeso. È urgente e necessario che i sindacati abbiano voce in questi processi di trasformazione, che siano in grado di entrare in coalizioni trasversali vincenti, che diventino promotori di modernizzazione, capaci di muoversi su uno scacchiere internazionale. Se non ora, quando?
 
Assolutamente d'accordo. Con me si sfonda una porta aperta: nessuno è così integralisticamente europeista come il sottoscritto. Tuttavia continuo a non capire il messaggio finale.

Ps: i sindacati italiani lottano con le unghie e con i denti affinché una riforma sia giusta ed equa perché sanno che i diritti, più di ogni altra cosa, se vengono persi poi è difficile riacquistarli.
Come scrive Spike in uno dei suoi libri, Hitler voleva che i vecchi ebrei la smettessero di passeggiare per i parchi come erano soliti fare. La sua soluzione fu quella di rimuovere le panchine dai giardini del quartiere ebraico di Vienna, così che gli anziani non avessero un posto dove sedersi.
Il nazismo è caduto da sessant'anni, ma le panchine ancora non sono tornate al loro posto.

domenica 11 marzo 2012

Se l'Italia diventa troppo piccola...


Perché l'Italia ha perso credibilità agli occhi del mondo? Qualcuno potrebbe farci notare che aver avuto un presidente del consiglio che voleva spacciare una prostituta per la nipote di un dittatore egiziano non ha aiutato. Inutile negarlo, la vergognosa condotta di Berlusconi ha diminuito il nostro peso internazionale. Ma sarebbe ingiusto dare tutte le colpe al berlusconismo.

La recente morte di Lamolinara, ingegnere italiano sequestrato in Nigeria e morto durante un blitz delle forze britanniche, ci ha scosso perché deriva dalla mancanza di comunicazione tra due paesi, l'Italia ed il Regno Unito, che teoricamente dovrebbero essere alleati.
Di fatto la questione si è conclusa tragicamente perché le due forze di intelligence hanno sempre avuto un differente approccio verso i sequestri: gli inglesi preferiscono l'utilizzo della forza, noi la diplomazia.
Sebbene il modus operandi italiano sia stato aspramente criticato all'estero (gli analisti sostengono che la disponibilità italiana a pagare i riscatti imposti dalle organizzazioni terroriste mette in pericoli gli italiani all'estero, che potrebbero essere presi di mira appositamente), il caso nigeriano dimostra che neanche il metodo inglese sembra funzionare alla perfezione: se gli 007 di Sua Maestà avessero puntato alla creazione di un canale diplomatico con i rapitori, forse adesso i due prigionieri sarebbero ancora vivi.

Gli altri due casi che ci hanno visti protagonisti sono la mancata estradizione di Battisti da parte del Brasile e la detenzione in India dei due marò italiani, accusati di aver ucciso dei pescatori.
In entrambe le situazioni siamo di fronte a due potenze emergenti (Brasile e India fanno parte dei cd BRICS) desiderose di dimostrare al mondo che ormai nello scacchiere mondiale non c'è più posto per una forza come l'Italia. Brasile e India non volevano certe creare un incidente diplomatico per Battisti, né tanto meno erano indignati per la morte dei due pescatori: volevano dimostrare una tesi che si è poi rivelata corretta. L'Italia è diventata troppo piccola per poter competere alla pari con loro, ed ogni occasione sarà buona per dimostrarlo.

E non è solo l'Italia ad aver perso peso negli ultimi anni, ma tutti i paesi europei: basta guardare come l'Argentina sia tornata alla carica sulla sovranità delle isole Malvine, con gli Stati Uniti che, invece di sostenere i loro alleati inglesi, si sono fatti prudentemente da parte.
Nel nuovo scacchiere mondiale, dove persino gli Stati Uniti d'America hanno difficoltà ad operare, non possiamo sperare di riacquistare peso e credibilità continuando ad operare da soli. Se vogliamo che le altre potenze del mondo ci prestino ascolto, l'Europa deve parlare con una sola voce.

Sarebbe un'utopia pensare che la Francia, l'Italia, la Spagna o la Germania possano parlare da pari a pari con paesi che hanno cinque volte i nostri abitanti, infinite materie prime e interessi completamente diversi dai nostri. Senza un rafforzamento decisivo della PESC (politica estera e sicurezza comune) dell'Unione Europea, siamo destinati ad una progressiva ma inevitabile perdita di importanza internazionale.

Sia nel caso Battisti che in quello dei Marò avevamo il diritto internazionale dalla nostra parte. Il comportamento del paese sudamericano, che si è rifiutato di estradare un condannato in tutti i gradi di giudizio in un altro paese, appare ingiustificato ed arbitrario. Esattamente come la decisione indiana di giudicare i due militari italiani per un fatto avvenuto in acque internazionali.
Potremmo ricorrere alla corte internazionale di giustizia, e magari averla anche vinta, ma ciò non cambierebbe lo stato dell'arte: siamo diventati troppo piccoli per il mondo.