martedì 24 aprile 2012

Gli ultrà ed i fatti di Genova.


Come è già stato scritto e commentato, allo stadio Ferraris di Genova sono state violate due dignità. Quella dei ventimila tifosi che avevano pagato un biglietto per vedere una partita, e quella della polizia italiana, ancora una volta costretta all'angolo da un manipolo di violenti.

In un paese semicivile una partita di calcio è e rimane sempre e soltanto uno spettacolo, uno sport, che per quanto emozionante e coinvolgente possa essere non supera mai i limiti imposti dalla decenza e dalla legalità. Ma nell'Italia della crisi e dello spread lo sport più giocato al mondo continua ad essere elevato a scopo di vita e motivo di lotta da ancora troppe persone. E così da fonte di svago e divertimento si trasforma in campo di battaglia, centro di malaffare, esempio topico di una società senza direzione.

Gli ultrà parlano di valori come fratellanza, orgoglio e rispetto, ma non c'è niente di più vergognoso dei fatti avvenuti a Genova. Esattamente come avevano fatto gli ultrà serbi, questi pseudotifosi genoani hanno sequestrato un intero stadio pieno di persone, ragazzi, famiglie che voleva solamente godersi una giornata di calcio e sport. Il modo in cui una ventina di balordi ha spaventato e piegato alla propria volontà i diritti di tutti gli altri ventimila spettatori paganti è vergognoso e violento.

La polizia inspiegabilmente ha permesso questa situazione di illegalità, abdicando al suo ruolo e tradendo la fiducia di tutti gli spettatori presenti. Ed anche i calciatori sono state delle vittime: la violenza psicologica (e fisica) a cui sono stati sottoposti è ingiusta e immotivata. Soltanto perché guadagnano tanti soldi non significa che gli altri possano spaventarli o minacciarli.

Ormai il calcio è diventato malato e pericoloso. La polizia ha il dovere di mantenere l'ordine pubblico in caso di manifestazioni sportive, ma i poliziotti non devono e non possono trasformarsi in guerriglieri del vietnam calcistico.
Per questo la soluzione deve essere drastico e rapida. Le società sportive di serie A devono avere l'obbligo giuridico di costruirsi stadi di loro proprietà in un periodo ragionevole (dieci o quindici anni). Quando tutte le società avranno i propri stadi (esattamente come succede in Spagna), avranno poi anche il dovere/diritto di provvedere alla sicurezza dell'impianto ed al corretto svolgimento della manifestazione sportiva.
In questo modo non solo si responsabilizzerebbero le società, spesso vittime e complici del “tifo organizzato”, ma si rivitalizzerebbe il nostro morente movimento calcistico. E' risaputo che tra i principali motivi del nostro crollo nel ranking uefa ci sono la moria di spettatori e la mancanza di stadi privati.

Ridiamo al calcio quel che è del calcio, ed allo stato quel che è dello stato. Al calcio spetta la corsa, il movimento atletico, il tackle, il colpo di testa e di tacco. Le punizioni di Del Piero, l'umanità di Sculli, i passaggi di Totti. Allo stato spetta la politica, le idee, le ideologie e soprattutto il monopolio dell'uso della forza.

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