Come è già stato scritto e
commentato, allo stadio Ferraris di Genova sono state violate due
dignità. Quella dei ventimila tifosi che avevano pagato un biglietto
per vedere una partita, e quella della polizia italiana, ancora una
volta costretta all'angolo da un manipolo di violenti.
In un paese semicivile una partita di
calcio è e rimane sempre e soltanto uno spettacolo, uno sport, che
per quanto emozionante e coinvolgente possa essere non supera mai i
limiti imposti dalla decenza e dalla legalità. Ma nell'Italia della
crisi e dello spread lo sport più giocato al mondo continua ad
essere elevato a scopo di vita e motivo di lotta da ancora troppe
persone. E così da fonte di svago e divertimento si trasforma in
campo di battaglia, centro di malaffare, esempio topico di una
società senza direzione.
Gli ultrà parlano di valori come
fratellanza, orgoglio e rispetto, ma non c'è niente di più
vergognoso dei fatti avvenuti a Genova. Esattamente come avevano
fatto gli ultrà serbi, questi pseudotifosi genoani hanno sequestrato
un intero stadio pieno di persone, ragazzi, famiglie che voleva
solamente godersi una giornata di calcio e sport. Il modo in cui una
ventina di balordi ha spaventato e piegato alla propria volontà i
diritti di tutti gli altri ventimila spettatori paganti è vergognoso
e violento.
La polizia inspiegabilmente ha permesso
questa situazione di illegalità, abdicando al suo ruolo e tradendo
la fiducia di tutti gli spettatori presenti. Ed anche i calciatori
sono state delle vittime: la violenza psicologica (e fisica) a cui
sono stati sottoposti è ingiusta e immotivata. Soltanto perché
guadagnano tanti soldi non significa che gli altri possano
spaventarli o minacciarli.
Ormai il calcio è diventato malato e
pericoloso. La polizia ha il dovere di mantenere l'ordine pubblico in
caso di manifestazioni sportive, ma i poliziotti non devono e non
possono trasformarsi in guerriglieri del vietnam calcistico.
Per questo la soluzione deve essere
drastico e rapida. Le società sportive di serie A devono avere
l'obbligo giuridico di costruirsi stadi di loro proprietà in un
periodo ragionevole (dieci o quindici anni). Quando tutte le società
avranno i propri stadi (esattamente come succede in Spagna), avranno
poi anche il dovere/diritto di provvedere alla sicurezza
dell'impianto ed al corretto svolgimento della manifestazione
sportiva.
In questo modo non solo si
responsabilizzerebbero le società, spesso vittime e complici del
“tifo organizzato”, ma si rivitalizzerebbe il nostro morente
movimento calcistico. E' risaputo che tra i principali motivi del
nostro crollo nel ranking uefa ci sono la moria di spettatori e la
mancanza di stadi privati.
Ridiamo al calcio quel che è del
calcio, ed allo stato quel che è dello stato. Al calcio spetta la
corsa, il movimento atletico, il tackle, il colpo di testa e di
tacco. Le punizioni di Del Piero, l'umanità di Sculli, i passaggi di
Totti. Allo stato spetta la politica, le idee, le ideologie e
soprattutto il monopolio dell'uso della forza.
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