Persino le democrazie più sviluppate
del mondo devono confrontarsi con il populismo. Con dei politici o
dei movimenti che sfruttano le paure e le miserie della gente invece
che cercare di risolverne i problemi.
In Finlandia ci sono i veri finlandesi,
nel Regno Unito c'è l'Ukip (United Kingdom indipendent party), in
Italia abbiamo la Lega ed il M5S.
Il termine populismo è ampiamente
utilizzato da politici ed esperti, ma il suo significato generale è
piuttosto difficile e sfuggente, tanto che persino Wikipedia si
rifiuta di darne una nozione nella lingua italiana.
A mio parere il termine populismo è
strettamente legato a quello di demagogia, ossia un comportamento
politico che “attraverso false promesse vicine ai desideri del
popolo mira ad accaparrarsi il suo favore. Spesso il demagogo fa leva
su sentimenti
irrazionali
e bisogni sociali latenti, alimentando la paura
o l'odio
nei confronti dell'avversario politico o di minoranze utilizzate come
"capro
espiatorio".
La demagogia ed il populismo
rappresentano una malattia per la democrazia, che erode il consenso
fondamentale che lega i cittadini con le istituzioni e spinge la
società in una situazione di precarietà. I tratti salienti del
politico demagogico e populista sono conosciuti: utilizzo di un
linguaggio violento e volutamente anti-istituzionale (come quello di
Grillo e Bossi, per intenderci), adozione di valori che, pur essendo
spesso antitetici a quelli democratici, sfruttano le paure ed i
bisogni delle fasce sociali più deboli.
Per rimanere nei nostri due esempi
concreti: la Lega nasce per contrastare il (giusto) disagio che
provavano gli artigiani ed i piccoli imprenditori del Nord, vessati
da tasse assurdamente alte e da una burocrazia soffocante. Ma invece
che cercare di risolvere il problema con delle soluzioni politiche
sensate, Bossi ha preferito puntare sull'odio ed il razzismo verso
Roma ed il Sud d'Italia, proponendo un progetto politico
irrealizzabile come la secessione.
Ugualmente il Grillismo nasce da
un'istanza popolare sacrosanta, ossia il desiderio di avere un ceto
politico onesto e produttivo. Ma invece che cercare delle soluzioni
adeguate ai due problemi che incancreniscono il nostro sistema
politico (la burocrazia e la corruzione), Grillo propone con un
linguaggio violento la totale cancellazione dei partiti politici.
Ipotesi che ci trascinerebbe nella dittatura.
Solitamente i populismi cercano di
colpire i più deboli della società. Ed infatti in tutta Europa
aumentano xenofobia e razzismo. Inveire contro gli immigrati (o gli
omosessuali), ritenuti colpevoli del decadimento della società, è
una prassi comune tra i demagoghi europei. Inutile ripetere quanto
sia pericoloso mettere l'uno contro l'altro i più deboli della
società, esattamente come è inutile ricordare che, ogni volta che
il populismo ha vinto, la democrazia è morta. E se muore la
democrazia nasce la dittatura. Non c'è altra soluzione.
Il populismo segue uno schema piuttosto
semplice. Perde potere quando la congiuntura economica è buona e
favorevole, ne acquista quando c'è crisi. Se le fasce sociali più
deboli si trovano in difficoltà economica saranno più propense a
credere alle bugie, e la povertà rafforza gli estremismi.
Naturalmente ci sono molti altri
fattori che favoriscono estremismo e populismo. In Italia la
burocrazia soffocante, le tasse incredibilmente alte, una mai
raggiunta coesione sociale tra nord e sud hanno sempre costituito un
vero e proprio serbatoio di voti per il populista Berlusconi, che si
accaparrava l'elettorato italiano grazie ad un'abilità politica
fuori dal comune, il controllo assoluta dei mezzi di comunicazione e
le migliori promesse in salsa demagogica.
Ma oggi il razzismo non premia più
come una volta. Prima di tutto perché nei paesi europei socialmente
più sviluppati (soprattutto nel freddo nord) anche i ceti sociali
più deboli si sono accorti della necessità intrinseca di ogni stato
di disporre di flussi migratori costanti per aumentare la natalità e
ricoprire quei settori lavoratovi (di bassa manovalanza) che gli
autoctono non sono più disposti a svolgere. Poi perché di fronte a
questa nuova crisi finanziaria tanto i cittadini nazionali quanto gli
stranieri si sono ritrovati vittime inermi, scarsamente protetti
dalla società e dalla politica, e darsi la colpa a vicenda era
veramente difficile. (Apparirebbe poco credibile persino per uno che
le spara grosse come Bossi addossare la colpa del crollo dei mercati
agli immigrati africani, no?)
Proprio per questo i nuovi populismi di
tutto il continente si sono indirizzati verso un nuovo nemico: il
processo di integrazione europea. Tanto Wilders in Olanda quanto
Lapen in Francia danno la colpa all'”Europa dei banchieri e degli
affaristi”. Secondo questi politici sarebbe in atto un complotto
internazionale ad opera di speculatori internazionali, con il
beneplacito o la complicità dei “burocrati di Bruxelles”. La
loro soluzione, condivisa da Grillo, sarebbe quella di uscire
dall'euro e di ritornare allo stato-nazione. Rimettere in piedi le
frontiere e permettere che torni nuovamente a soffiare il vento del
nazionalismo.
Ma siamo sicuri che l'euro sia la causa
dei nostri mali? Quanti di noi si sono chiesti cosa sarebbe successo
se fossimo rimasti alla lira? Siamo veramente sicuri che adesso
l'Italia sarebbe rimasta fuori dalla crisi dell'eurozona, svalutando
continuamente una lira fragile e già di per sé svalutata?
La risposta degli economisti più
lungimiranti è no. L'euro ed il processo di integrazione europea è
l'unico modo per l'Europa di rimanere competitiva nel mondo. Senza
l'adozione della moneta unica l'Italia non sarebbe mai stata in grado
di collocare nel mercato il suo gigantesco debito pubblico, ed adesso
sarebbe in banca rotta.
Con questo voglio dire che l'Unione
Europea sia perfetta? Assolutamente no. La crisi ha mostrato tutti i
difetti delle istituzioni europee, troppo deboli e senza l'adeguato
appoggio democratico di cui avrebbero bisogno. Ma questa non è una
scusa per cercare soluzioni che all'apparenza sembrano semplici, ma
che in realtà nascondono delle catastrofi inimmaginabili: il
cosiddetto default guidato di una nazione come l'Italia produrrebbe
un disastro sociale ed economico dalle conseguenze difficilmente
prevedibili. E chi lo propone per accaparrarsi qualche voto o è uno
stolto o è in malafede.
Dobbiamo difendere il progetto di
integrazione europea perché, nonostante quello che dicono alcuni
pseudo-comunisti, è un progetto progressista. Un continente unito
politicamente, senza guerra ne frontiere, rappresenta una novità
importante per il nostro paese, ed è tutt'ora l'ipotesi più sensata
per uscire dalla crisi dell'eurozona.
Tutti ricordiamo con piacere gli anni
in cui compravano una pizza per mille lire, ma i tempi sono cambiati.
Il mondo è cambiato. Prima la Cina e l'India erano solo due nazioni
nel mappamondo, adesso dettano l'agenda mondiale insieme al Brasile.
L'Italia può stare al passo coi tempi, deve stare al passo dei
tempi.
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