Mi ricordo l'undici settembre del 2001.
Ero piccolo e stavo sul letto a guardare l'ennesima puntata di happy
days quando c'è stata l'edizione straordinaria del telegiornale.
Nessuno ci credeva. Tutta la famiglia guardava le immagini del
crollo, dell'aereo, del fumo con uno sguardo catatonico. Abbiamo
avuto bisogno di aspettare il notiziario della sera per
convincerci che l'attentato era avvenuto per davvero. Ad undici anni
dalla tragedia lo sgomento è venuto meno, la paura ancora no.
Persino i più convinti degli
antiamericani erano consapevoli che quell'attacco non era diretto
soltanto agli Stati Uniti. Era un messaggio all'Occidente opulento,
per certi versi violento e saccheggiatore, ma soprattutto laico,
“infedele”.
Da quel giorno ci siamo sentiti
accerchiati, colpiti al cuore. Una sindrome di accerchiamento che ci
ha impedito di guardare non solo il mondo islamico, ma tutti gli
altri mondi con lucidità. Quelle torri distrutte, quelle persone
morte in quel modo orribile sono diventati il nostro alibi per
fingere di non vedere, per continuare a fare quello che abbiamo
sempre fatto: cooperare con gli Altri senza considerarli mai uguali,
mai abbastanza evoluti.
Tremila persone sono morte direttamente
in questa tragedia senza senso, frutto di una interpretazione di un
testo sacro che, al contrario di quello che pensano in molti,
potrebbe essere portatore di cultura e tolleranza esattamente come il Vangelo. Ma quei tremila americani sono soltanto la superficie,
perché oggi appare impossibile non considerare tra i caduti anche i
100000 civili afghani ed i 68000 iracheni, morti in due guerre
assurde che hanno attizzato il fuoco dell'odio piuttosto che
spegnerlo.
Alibi, dicevo. Quell'attentato è stato
anche l'alibi che cercavamo per continuare a credere che gli islamici
non sono in grado di creare una società laica se non attraverso
sanguinose dittature foraggiate dall'occidente. Come se noi non
avessimo e non continuassimo ad avere difficili rapporti tra potere
sacro e profano, come se il fanatismo fosse un dramma tutto
orientale.
Neanche la primavera araba è riuscita
a smuovere le nostre coscienze. Abbiamo continuato a vedere questi
giovani in cerca di libertà come un fastidio piuttosto che
un'opportunità. Quando gli italiani lottavano per la loro
indipendenza erano visti con simpatia dai popoli di tutta Europa
(popoli, non governi), e Garibaldi nei suoi viaggi era accolto come
un eroe di fama mondiale.
Noi invece nelle rivolte arabe abbiamo provato soltanto paura e diffidenza. Paura di venire assaliti da masse
incontrollate di stranieri. Diffidenza, perché alla fine soltanto
noi ci meritiamo di vivere in democrazia.
Piango le vittime del 911 ma piango
anche le nostre ipocrisie e le nostre paure. Spesso comprensibili ma
quasi sempre totalmente infondate.
Nessun commento:
Posta un commento