Pubblico chiude. Un'avventura
editoriale durata pochissimo, annunciata in pompa magna e morta senza
troppo clamore. I giornalisti sono in sciopero e annunciano che
domani il giornale non sarà in edicola, l'editore-direttore dice di no.
La fine lampo di Pubblico rappresenta
probabilmente una soluzione migliore alla lenta e assurda agonia del
Manifesto, ma rimane da chiedersi come sia possibile una cosa del
genere: chiudere un giornale aperto appena tre mesi fa. Il più
sprovveduto dei business plan prevede almeno un anno in disavanzo,
cosa avevano in testa Telese e Tessarolo quando hanno deciso di
lanciare un quotidiano cartaceo in un mercato già saturo?
Basta fare una piccola ricerca su
facebook per scoprire che molti dei collaboratori di Pubblico sono
sottopagati, e adesso rischiano addirittura di non ricevere gli
stipendi arretrati. Sono cose che fanno riflettere. Anzi, sono cose
che fanno incazzare.
Odio le metafore forzate, soprattutto
quando ci sono in mezzo fatti di cronaca. Soprattutto quando c'è in
mezzo il lavoro ed il futuro delle persone. Ma Pubblico è veramente
la dimostrazione che noi sinistroidi siamo spesso più bravi a
parlare che a fare le cose. I migliori critici degli imprenditori
italiani, salvo poi comportarci nelle peggiori maniere quando
iniziamo un'impresa noi.
Telese dice che avrà modo di spiegarsi
domani sulle pagine del giornale. Leggeremo la sua versione dei fatti
e ci faremo un'opinione. Ma Luca, stai attento: perché c'è solo una
cosa peggiore dello sfruttare il lavoro delle persone. É fare la
morale agli sfruttatori e poi comportarsi nella stessa maniera.
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