sabato 28 aprile 2012

Se i populisti se la prendono con l'Europa.


Persino le democrazie più sviluppate del mondo devono confrontarsi con il populismo. Con dei politici o dei movimenti che sfruttano le paure e le miserie della gente invece che cercare di risolverne i problemi.
In Finlandia ci sono i veri finlandesi, nel Regno Unito c'è l'Ukip (United Kingdom indipendent party), in Italia abbiamo la Lega ed il M5S.

Il termine populismo è ampiamente utilizzato da politici ed esperti, ma il suo significato generale è piuttosto difficile e sfuggente, tanto che persino Wikipedia si rifiuta di darne una nozione nella lingua italiana.
A mio parere il termine populismo è strettamente legato a quello di demagogia, ossia un comportamento politico che “attraverso false promesse vicine ai desideri del popolo mira ad accaparrarsi il suo favore. Spesso il demagogo fa leva su sentimenti irrazionali e bisogni sociali latenti, alimentando la paura o l'odio nei confronti dell'avversario politico o di minoranze utilizzate come "capro espiatorio".

La demagogia ed il populismo rappresentano una malattia per la democrazia, che erode il consenso fondamentale che lega i cittadini con le istituzioni e spinge la società in una situazione di precarietà. I tratti salienti del politico demagogico e populista sono conosciuti: utilizzo di un linguaggio violento e volutamente anti-istituzionale (come quello di Grillo e Bossi, per intenderci), adozione di valori che, pur essendo spesso antitetici a quelli democratici, sfruttano le paure ed i bisogni delle fasce sociali più deboli.
Per rimanere nei nostri due esempi concreti: la Lega nasce per contrastare il (giusto) disagio che provavano gli artigiani ed i piccoli imprenditori del Nord, vessati da tasse assurdamente alte e da una burocrazia soffocante. Ma invece che cercare di risolvere il problema con delle soluzioni politiche sensate, Bossi ha preferito puntare sull'odio ed il razzismo verso Roma ed il Sud d'Italia, proponendo un progetto politico irrealizzabile come la secessione.
Ugualmente il Grillismo nasce da un'istanza popolare sacrosanta, ossia il desiderio di avere un ceto politico onesto e produttivo. Ma invece che cercare delle soluzioni adeguate ai due problemi che incancreniscono il nostro sistema politico (la burocrazia e la corruzione), Grillo propone con un linguaggio violento la totale cancellazione dei partiti politici. Ipotesi che ci trascinerebbe nella dittatura.

Solitamente i populismi cercano di colpire i più deboli della società. Ed infatti in tutta Europa aumentano xenofobia e razzismo. Inveire contro gli immigrati (o gli omosessuali), ritenuti colpevoli del decadimento della società, è una prassi comune tra i demagoghi europei. Inutile ripetere quanto sia pericoloso mettere l'uno contro l'altro i più deboli della società, esattamente come è inutile ricordare che, ogni volta che il populismo ha vinto, la democrazia è morta. E se muore la democrazia nasce la dittatura. Non c'è altra soluzione.

Il populismo segue uno schema piuttosto semplice. Perde potere quando la congiuntura economica è buona e favorevole, ne acquista quando c'è crisi. Se le fasce sociali più deboli si trovano in difficoltà economica saranno più propense a credere alle bugie, e la povertà rafforza gli estremismi.
Naturalmente ci sono molti altri fattori che favoriscono estremismo e populismo. In Italia la burocrazia soffocante, le tasse incredibilmente alte, una mai raggiunta coesione sociale tra nord e sud hanno sempre costituito un vero e proprio serbatoio di voti per il populista Berlusconi, che si accaparrava l'elettorato italiano grazie ad un'abilità politica fuori dal comune, il controllo assoluta dei mezzi di comunicazione e le migliori promesse in salsa demagogica.

Ma oggi il razzismo non premia più come una volta. Prima di tutto perché nei paesi europei socialmente più sviluppati (soprattutto nel freddo nord) anche i ceti sociali più deboli si sono accorti della necessità intrinseca di ogni stato di disporre di flussi migratori costanti per aumentare la natalità e ricoprire quei settori lavoratovi (di bassa manovalanza) che gli autoctono non sono più disposti a svolgere. Poi perché di fronte a questa nuova crisi finanziaria tanto i cittadini nazionali quanto gli stranieri si sono ritrovati vittime inermi, scarsamente protetti dalla società e dalla politica, e darsi la colpa a vicenda era veramente difficile. (Apparirebbe poco credibile persino per uno che le spara grosse come Bossi addossare la colpa del crollo dei mercati agli immigrati africani, no?)

Proprio per questo i nuovi populismi di tutto il continente si sono indirizzati verso un nuovo nemico: il processo di integrazione europea. Tanto Wilders in Olanda quanto Lapen in Francia danno la colpa all'”Europa dei banchieri e degli affaristi”. Secondo questi politici sarebbe in atto un complotto internazionale ad opera di speculatori internazionali, con il beneplacito o la complicità dei “burocrati di Bruxelles”. La loro soluzione, condivisa da Grillo, sarebbe quella di uscire dall'euro e di ritornare allo stato-nazione. Rimettere in piedi le frontiere e permettere che torni nuovamente a soffiare il vento del nazionalismo.

Ma siamo sicuri che l'euro sia la causa dei nostri mali? Quanti di noi si sono chiesti cosa sarebbe successo se fossimo rimasti alla lira? Siamo veramente sicuri che adesso l'Italia sarebbe rimasta fuori dalla crisi dell'eurozona, svalutando continuamente una lira fragile e già di per sé svalutata?

La risposta degli economisti più lungimiranti è no. L'euro ed il processo di integrazione europea è l'unico modo per l'Europa di rimanere competitiva nel mondo. Senza l'adozione della moneta unica l'Italia non sarebbe mai stata in grado di collocare nel mercato il suo gigantesco debito pubblico, ed adesso sarebbe in banca rotta.

Con questo voglio dire che l'Unione Europea sia perfetta? Assolutamente no. La crisi ha mostrato tutti i difetti delle istituzioni europee, troppo deboli e senza l'adeguato appoggio democratico di cui avrebbero bisogno. Ma questa non è una scusa per cercare soluzioni che all'apparenza sembrano semplici, ma che in realtà nascondono delle catastrofi inimmaginabili: il cosiddetto default guidato di una nazione come l'Italia produrrebbe un disastro sociale ed economico dalle conseguenze difficilmente prevedibili. E chi lo propone per accaparrarsi qualche voto o è uno stolto o è in malafede.

Dobbiamo difendere il progetto di integrazione europea perché, nonostante quello che dicono alcuni pseudo-comunisti, è un progetto progressista. Un continente unito politicamente, senza guerra ne frontiere, rappresenta una novità importante per il nostro paese, ed è tutt'ora l'ipotesi più sensata per uscire dalla crisi dell'eurozona.

Tutti ricordiamo con piacere gli anni in cui compravano una pizza per mille lire, ma i tempi sono cambiati. Il mondo è cambiato. Prima la Cina e l'India erano solo due nazioni nel mappamondo, adesso dettano l'agenda mondiale insieme al Brasile. L'Italia può stare al passo coi tempi, deve stare al passo dei tempi.

martedì 24 aprile 2012

Gli ultrà ed i fatti di Genova.


Come è già stato scritto e commentato, allo stadio Ferraris di Genova sono state violate due dignità. Quella dei ventimila tifosi che avevano pagato un biglietto per vedere una partita, e quella della polizia italiana, ancora una volta costretta all'angolo da un manipolo di violenti.

In un paese semicivile una partita di calcio è e rimane sempre e soltanto uno spettacolo, uno sport, che per quanto emozionante e coinvolgente possa essere non supera mai i limiti imposti dalla decenza e dalla legalità. Ma nell'Italia della crisi e dello spread lo sport più giocato al mondo continua ad essere elevato a scopo di vita e motivo di lotta da ancora troppe persone. E così da fonte di svago e divertimento si trasforma in campo di battaglia, centro di malaffare, esempio topico di una società senza direzione.

Gli ultrà parlano di valori come fratellanza, orgoglio e rispetto, ma non c'è niente di più vergognoso dei fatti avvenuti a Genova. Esattamente come avevano fatto gli ultrà serbi, questi pseudotifosi genoani hanno sequestrato un intero stadio pieno di persone, ragazzi, famiglie che voleva solamente godersi una giornata di calcio e sport. Il modo in cui una ventina di balordi ha spaventato e piegato alla propria volontà i diritti di tutti gli altri ventimila spettatori paganti è vergognoso e violento.

La polizia inspiegabilmente ha permesso questa situazione di illegalità, abdicando al suo ruolo e tradendo la fiducia di tutti gli spettatori presenti. Ed anche i calciatori sono state delle vittime: la violenza psicologica (e fisica) a cui sono stati sottoposti è ingiusta e immotivata. Soltanto perché guadagnano tanti soldi non significa che gli altri possano spaventarli o minacciarli.

Ormai il calcio è diventato malato e pericoloso. La polizia ha il dovere di mantenere l'ordine pubblico in caso di manifestazioni sportive, ma i poliziotti non devono e non possono trasformarsi in guerriglieri del vietnam calcistico.
Per questo la soluzione deve essere drastico e rapida. Le società sportive di serie A devono avere l'obbligo giuridico di costruirsi stadi di loro proprietà in un periodo ragionevole (dieci o quindici anni). Quando tutte le società avranno i propri stadi (esattamente come succede in Spagna), avranno poi anche il dovere/diritto di provvedere alla sicurezza dell'impianto ed al corretto svolgimento della manifestazione sportiva.
In questo modo non solo si responsabilizzerebbero le società, spesso vittime e complici del “tifo organizzato”, ma si rivitalizzerebbe il nostro morente movimento calcistico. E' risaputo che tra i principali motivi del nostro crollo nel ranking uefa ci sono la moria di spettatori e la mancanza di stadi privati.

Ridiamo al calcio quel che è del calcio, ed allo stato quel che è dello stato. Al calcio spetta la corsa, il movimento atletico, il tackle, il colpo di testa e di tacco. Le punizioni di Del Piero, l'umanità di Sculli, i passaggi di Totti. Allo stato spetta la politica, le idee, le ideologie e soprattutto il monopolio dell'uso della forza.

venerdì 20 aprile 2012

Caro Grillo, mi ricordi Bossi.


E' veramente divertente, Grillo. Si, perché lui non è un politico. Lui è un cittadino prestato alla politica.
Non essendo lui un politico, può dire qualsiasi stronzata gli passi per la testa. Perché quando le dice non è il politico a parlare, ma il comico. Quando invece gli capita di dire cose sensate allora no, allora quello è il Grillo politico.

Intendiamoci, Grillo mi stava anche simpatico. L'idea di creare un moto di protesta contro le ruberie dei partiti ci poteva anche stare. Scuotere le coscienze, indignarsi. Sai, quelle cazzate lì. Il V-Day, che per finezza e intelligenza si è avvicinato molto alla Pontida leghista, è stata una bella manifestazione. Alcuni hanno parlato, altri hanno suonato, ci siamo tutti incazzati contro i politici. Insomma, la prassi.

Ma caro Grillo, non mi puoi andare all'assalto del parlamento. No, questo no. Non perché sia un'impresa impossibile, dato che in Italia è semplice semplice. Ma perché allora mi diventi come tutti gli altri. Anzi no, peggio degli altri.
In Italia basta iniziare a dare pietrate fisiche e morali ai politici per entrare in parlamento. É semplice:tutti odiano i politici, se tu li denigri pubblicamente tutti ti ameranno. Ma questo non ti rende diverso dai politici disonesti. Ti rende uguale e identico a loro.
Se un politico ruba, è un ladro. Se uno diventa un politico sfruttando le miserie e la povertà della gente, è un opportunista. Un'opportunista scaltro e con la parlantina sciolta, ma sempre opportunista rimane.

Io ho provato a leggerlo, il tuo programma, caro Grillo. Ci sono diverse cose sensate, che condivido. Ma c'era bisogno di fondare un partito? C'era bisogno di aumentare la spaccatura tra ceto politico e persone comuni? Immagino che avere qualche buona idea basti e avanzi per andare in parlamento. Basta condirle con un po' di populismo e qualche sana frase demagogica.

Caro Grillo, magari diventerai anche la terza forza politica del paese. Magari rifiuterai anche la prima tranche di rimborsi pubblici. Ma questo non ti renderà diverso da Bossi. Credimi. Perché quelli che promettono di cambiare tutto,solitamente non cambiano niente. Perché chi non fa proposte realiste come te o è un sognatore o un venditore di sogni in mala fede. E tu, caro Grillo, a sessant'anni suonati, l'età in cui si sogna l'hai passata da un pezzo.

Sono certo che un grillino mi direbbe che loro sono diversi dai leghisti perché non sono un partito, sono un movimento. Grande differenza semiotica. Sono un movimento, quindi non hanno bisogno di una statuto democratico. Sono un movimento, quindi Grillo può fare e dire tutto quello che vuole. Compreso cacciare le persone senza dare spiegazioni.

Gli italiani, già pronti a mettere una x sulla faccia del caro Grillo, si ricordino che questo sedicente movimento promette le stesse cose che prometteva la Lega quando nacque: liberare il parlamento dai ladri e dai corrotti, spazzare i vecchi partiti putridi e incancreniti per fare spazio al nuovo. Sappiamo tutti come è finita: Belsito indagato e sospettato di avere rapporti con la mafia, Bossi che piange davanti ai suoi stessi militanti. Nel processo, però, l'Italia è finita sull'orlo della bancarotta.

Tra l'altro, anche la lega degli inizi si faceva chiamare “movimento”. Ma poi, come tutti sappiamo, è diventato un partito. Perché le parole sono importanti. Ma non sempre.

domenica 8 aprile 2012

Israele bandisce Guenter Grass.

Guenter Grass, premio nobel della letteratura, è stato invitato da Israele a non recarsi più nel suo territorio perché “persona non gradita”. La proibizione arriva dopo che l’autore tedesco aveva inviato ad un giornale di tiratura nazionale una poesia civica, in cui invitava la Germania a non vendere al governo israeliano un sommergibile che sarebbe in grado di lanciare un attacco nucleare all’Iran.
Non c’è niente di più antidemocratico e fascista che bandire un intellettuale dal proprio territorio a causa delle sue opere. Uno stato democratico dovrebbe essere aperto alle critiche, per quanto aspre e sbagliate possano essere. Esiliare o bandire un pensatore per le proprie idee è tipico degli stati totalitari, non certo di una democrazia compiuta come è quella israeliana.

Quello che mi disarma e mi frustra è il fatto che nei principali quotidiani nazionali la poesia non viene né letta né commentata, ma si riporta freddamente la notizia, quasi fosse un evento naturale inevitabile come un uragano o un terremoto. Ormai la questione mediorientale si è così incancrenita su sé stessa che persino i giornalisti hanno abdicato al loro ruolo di analisti e commentatori, per paura di essere tacciati di comunisti o di sionisti o di chissà quale altre corbellerie.

Il diktat israeliano è assurdo e sbagliato. Assurdo perché un governo non dovrebbe mai ergersi  ad arbitro di ciò che un individuo può o non può pensare, sbagliato perché le accuse che vengono mosse a Grass sono pregiudiziali ed infondate.

Si dice che l’autore sia un nazista, e l’accusa offende l’intelligenza di tutti quelli che conoscono le opere dello scrittore tedesco. Grass ha combattuto la seconda guerra mondiale dalla parte del nazismo , episodio che lui stesso nella poesia chiama “Macchia indelebile”. Ma dopo aver militato nelle SS in giovanissima età l’autore si è sempre battuto per la pace e la difesa dei diritti umani. Le persone cambiano, e nessuno oggi potrebbe tacciare Grass di nazismo senza essere in mala fede.
Israele, poi, sostiene che Grass sia un “antisemita, che continua a seminare odio contro il popolo d’Israele”. Ma in realtà lo scrittore non semina alcun odio: basta leggere la poesia per capire che il tedesco vuole soltanto criticare e smuovere le coscienze, senza alcuna intenzione di nuocere né gli israeliani né nessun  altro. La teoria che l’intellettuale sostiene è semplice e logicamente condivisibile: il continuo armamento di qualsiasi paese (Israele compreso) non avvicina i popoli alla pace ma semmai alla violenza.

Israele detiene armamenti atomici ma rifiuta qualsiasi ispezione da parte di organizzazioni internazionali. Sostenere che l’Iran non deve avere l’atomica perché la userebbe con fini distruttivi mentre Gerusalemme può averla perché serve come deterrente è pura ipocrisia. Gli armamenti portano soltanto ad altri armamenti. Se uno stato nemico acquista nuove bombe, allora tutti gli stati della regione le compreranno a loro volta per paura di rimanere militarmente indietro. E’ un circolo vizioso che conosciamo tutti: nuove armi porteranno sempre nuova violenza.

L’ultima accusa che si muove al tedesco è di aver messo sullo stesso piano Iran o Israele. Anche di questo, nella poesia, non c’è traccia. Grass propone soltanto che sia gli israeliani che gli iraniani accettino che una organizzazione internazionale neutrale (presumibilmente l’Onu) ispezioni i loro arsenali militari e controlli che nessuna delle due abbia armamenti nucleari. Si tratta dell’unico modo possibile per scongiurare una guerra che sembra ogni giorno più imminente e che avrebbe degli esiti incerti non solo per il medio oriente, ma per il mondo intero.

So bene che alcuni dei pochissimi lettori che hanno avuto la pazienza di leggermi fino a qui penseranno che sono un comunista filo-palestinese, e che magari fabbrico molotov a casa che invio mensilmente alla striscia di Gaza. Mi dispiace deludervi, ma non nutro nessun disprezzo né per gli ebrei né per i palestinesi. Desidero soltanto accendere la televisione e non sentire il solito ed alienante elenco di morti prodotti dalla situazione medio-orientale.

In quanto a Grass, il modo migliore per dimostrarvi che le accuse rivoltegli sono completamente infondate è leggersi la poesia . Si tratta di un’opera interessante e priva di qualsiasi antisemitismo. Perché non basta criticare l’operato di Israele per diventare antisemiti, mentre basta essere indifferenti o ideologicamente schierati per aumentare l’odio e la violenza.





Quello che va detto
(Gunter Grass)
 
Perché taccio e passo sotto silenzio troppo a lungo
una cosa che è evidente e si è messa in pratica in giochi di guerra
alla fine dei quali, da sopravvissuti,
noi siamo al massimo delle note a piè di pagina.

Il diritto affermato ad un decisivo attacco preventivo
che potrebbe cancellare il popolo iraniano,
soggiogato da un fanfarone
e spinto alla gioia organizzata,
perché nella sfera di quanto gli è possibile realizzare
si sospetta la costruzione di una bomba atomica.

E allora perché proibisco a me stesso
di chiamare per nome l’altro paese,
in cui da anni — anche se si tratta di un segreto —
si dispone di crescenti capacità nucleari,
che rimangono fuori dal controllo perché mantenute
inaccessibili?
Un fatto tenuto genericamente nascosto:
a questo nascondere sottostà il mio silenzio.
Mi sento oppresso dal peso della menzogna
e costretto a sottostarvi, avendo ben presente la pena in cui si incorre
quando la si ignora:
il verdetto di “antisemitismo” è di uso normale.

Ora però, poiché da parte del mio paese,
un paese che di volta in volta ha l’esclusiva di certi crimini
che non hanno paragone, e di volta in volta è costretto a giustificarsi,
dovrebbe essere consegnato a Israele
un altro sommergibile
-di nuovo per puri scopi commerciali, anche se
con lingua svelta si parla di «riparazione»-
in grado di dirigere testate devastanti laddove
non è provata l’esistenza di una sola bomba atomica,
una forza probatoria che funziona da spauracchio,
dico quello che deve essere detto.

Ma perché ho taciuto fino ad ora?
Perché pensavo che le mie origini,
stigmatizzate da una macchia indelebile,
impedissero di aspettarsi questo dato di fatto
come una verità dichiarata dallo Stato d’Israele;
Stato d’Israele al quale sono e voglio restare legato.

Perché dico solo adesso,
da vecchio e col mio ultimo inchiostro,
che le armi nucleari di Israele minacciano
una pace mondiale già fragile?
Perché deve essere detto
quello che domani potrebbe essere troppo tardi per dire;
anche perché noi — come tedeschi già con sufficienti colpe a carico —
potremmo diventare quelli che hanno fornito i mezzi necessari ad un crimine
prevedibile, e nessuna delle solite scuse
varrebbe a cancellare questo.
 
E lo ammetto: non taccio più
perché sono stanco 
dell’ipocrisia dell’Occidente; perché è auspicabile
che molti vogliano uscire dal silenzio,
che esortino alla rinuncia il promotore
del pericolo che si va prospettando
ed insistano anche perché
un controllo libero e senza limiti di tempo
del potenziale atomico israeliano
e delle installazioni nucleari iraniane
esercitato da un’organizzazione internazionale
sia consentito dai governi di entrambi i paesi.

Solo in questo modo per tutti, israeliani e palestinesi,
e più ancora per tutti gli uomini che vivono
da nemici confinanti in quella regione
occupata dalla follia
ci sarà una via d’uscita,
e alla fine anche per noi.
 
 
Ps: riporto alla fine un servizio di Claudio Pagliara, inviato Rai in medio oriente, come esempio di un giornalista che ha da tempo abdicato al suo lavoro. Non indaga se le motivazioni che adduce Israele per bandire Grass siano vere o no, ma si limita a darle per buone solo perché escono dalla bocca del governo di Gerusalemme. Misteri tipici di Rai1. 

sabato 7 aprile 2012

La fine della purezza leghista.

Prima ancora che su razzismo, prima ancora che sulla stessa secessione, il mito del leghismo si è fondato sulla purezza. Sulla capacità dei leghisti di rimanere imperturbabilmente diversi da tutti gli altri politici, presumibilmente corrotti ed incuranti dei loro elettori.

La grande capacità di Bossi è sempre stata quella di accendere nei suoi militanti la rabbia e la frustrazione nei confronti di uno stato capace di sommergerti di tasse ma totalmente inadatto ad offrirti servizi validi ed efficienti. Il grande sviluppo della lega è dovuto proprio a Mani Pulite ed al collasso della prima repubblica. La retorica leghista della diversità ontologica delle proprie intenzioni, la purezza della propria volontà rigenerante hanno convinto moltissimi italiani (non solo al nord), stanchi e schifati da politici corrotti.

Ma se vuoi ergerti a puro in un mare magnum di corrotti, non puoi permetterti il minimo sbaglio. E per lungo tempo i leghisti ci sono anche riusciti. O meglio, per lungo tempo Bossi c'è anche riuscito. Ai suoi militanti ha promesso fin dall’inizio poche cose, ma precise: il federalismo e la lotta all’immigrazione. Decentramento e razzismo. Semplice, populista e di sicuro impatto.

Ma poi la malattia di Bossi ed il fisiologico sfaldamento che colpisce tutti i movimenti che hanno obiettivi irrealizzabili ha lentamente eroso l’impianto ideologico su cui si basava il leghismo. Il sogno razzista di rendere il nord senza immigrati si è dimostrato una pura utopia, tanto che neanche una legge ideologica come la Bossi-Fini ha prodotto risultati apprezzabili, mentre il federalismo è rimasto lettera morta nonostante dodici anni di governo.

Persino i militanti più convinti si sono resi conto che la Padania rappresenta un territorio culturalmente e storicamente inesistente, avente la stessa consistenza giuridica dell’Assurdista. Il mito della secessione è stato il primo a crollare, seguito a ruota dalla pulizia etnica del nord e dal federalismo.

Ma come ho già detto, i militanti leghisti, la famosa base dura e pura, era pienamente e consapevolmente disposta a perdonare il totale fallimento del programma politico e culturale leghista. Perché quello che veramente volevano gli elettori del Carroccio non era una padania senza terroni, né tantomeno uno stato federalista. Quello che veramente desideravano i “verdi” era votare un movimento politico diverso dagli altri, un movimento di protesta e di lotta, un movimento “puro” e incorrotto.
Ma la permanente alleanza con Berlusconi e la lotta fratricida tra Bossi e Maroni hanno scalfito anche quest’ultima certezza. I dubbi dei militanti si sono poi ingigantiti con l’entrata in scena del Trota, un personaggio politico dalle dubbie capacità oratorie e dirigenziali, la cui ineguatezza era evidente persino in un ambiente come quello leghista che non brilla certo per intelligenza.

Ma il cuore della base è stato definitivamente spezzato dalla scoperta che il loro amato capo, Umberto Bossi, che aveva promesso di avercelo sempre duro, è corrotto e comprabile esattamente come tutti gli altri. La scoperta che anche lui, in fondo, non è diverso dai politici della prima repubblicaha distrutto la residua fiducia degli elettori leghisti.

Magari la Lega sopravvivrà al terribile scandalo, ma non sarà più la stessa. Non avrà mai più lo stesso peso. Perché la Padania si può sempre fare, ma la purezza, come la verginità, una volta perduta non si riacquista più.