venerdì 27 gennaio 2012

Quando una nave che affonda diventa l'immagine di un paese intero.

In un paese strano come l'Italia, dove ogni omicidio diviene un continuo, macabro reality, tutto può succedere. Persino che la Concordia che affonda venga paragonata  all'Italia e il suo comandante codardo trasformi in codardi tutti gli italiani.
A rigor di logica questa ardita comparazione dovrebbe suonare per quello che è: una gigantesca cazzata. Nessuno ha mai paragonato gli inglesi al comandante del Titanic, ne li ha incolpati per il suo naufragio. Le tragedie, esattamente come i codardi, non hanno nazionalità.
Ma la logica, in tempi di crisi e di spread traballanti, deve lasciare il posto al sospetto e all'autolesionismo. La nave da crociera che affonda non può essere solo il frutto di un errore umano. No. Deve essere trasformata nell'emblema di un paese in cui non funziona niente, dove solo i coglioni pagano le tasse e le leggi servono solo ad imbrattare i codici civili.

Il processo che ha visto la Concordia trasformarsi nell'Italia in bancarotta è una specie di via crucis del cattivo giornalismo. Prima ci hanno pensato i telegiornali, impegnandosi con tutte le loro forze per trasformare la tragedia in una squallida appendice del grande fratello, come se non fossimo mai capaci di distinguere il pettegolezzo dalla notizia. Poi è arrivato il primo colpo da maestro: Beppe Severgnigi,in un articolo senza senso sul Financial Time,dice di non voler paragonare il naufragio con l'Italia, ma in compenso paragona Schiettino con tutti gli italiani, e la Concordia con il nostro desiderio di non venire sbattuti fuori dall'Unione Europea a calci nel sedere.

Qualche giorno dopo è la volta di Marco Travaglio che, non potendo resistere alla tentazione, si mette a fare le differenze tra Berlusconi e Schiettino. Naturalmente ne esce fuori che sono più o meno uguali, con noi che siamo imbecilli ad affidarci sempre ad un uomo solo che ci lascia ciclicamente nella merda.

Dopo questa carrellata di sferzanti mostruosità giornalistiche, era ovvio che anche dall'estero trovassero il coraggio di portarci per il culo: sulla colonna on-line di Der Spiegel un certo Jan Fleischhauer scrive uno degli articoli più razzisti e offensivi che mi sia capitato di leggere su un giornale occidentale. Ma la stampa nostrana, come al solito, perde l'occasione di comportarsi da gentleman: quel genio incompreso di Sallusti per vendicarsi dell'articolo non trova di meglio che rispolverare il nazismo durante il giorno della memoria. Sulla prima pagina del Giornale, ovviamente.

Ma alla fine della fiera, il problema rimane sempre lo stesso. A forza di dire che in Italia non si può fare niente, a furia di ripeterci che viviamo nella repubblica delle banane, abbiamo finito per crederci davvero. Se vogliamo che gli altri ci prendano sul serio, forse è il caso che iniziamo a farlo anche noi.

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