sabato 29 dicembre 2012

Pubblico chiude.

Pubblico chiude. Un'avventura editoriale durata pochissimo, annunciata in pompa magna e morta senza troppo clamore. I giornalisti sono in sciopero e annunciano che domani il giornale non sarà in edicola, l'editore-direttore dice di no.
La fine lampo di Pubblico rappresenta probabilmente una soluzione migliore alla lenta e assurda agonia del Manifesto, ma rimane da chiedersi come sia possibile una cosa del genere: chiudere un giornale aperto appena tre mesi fa. Il più sprovveduto dei business plan prevede almeno un anno in disavanzo, cosa avevano in testa Telese e Tessarolo quando hanno deciso di lanciare un quotidiano cartaceo in un mercato già saturo?

Basta fare una piccola ricerca su facebook per scoprire che molti dei collaboratori di Pubblico sono sottopagati, e adesso rischiano addirittura di non ricevere gli stipendi arretrati. Sono cose che fanno riflettere. Anzi, sono cose che fanno incazzare.

Odio le metafore forzate, soprattutto quando ci sono in mezzo fatti di cronaca. Soprattutto quando c'è in mezzo il lavoro ed il futuro delle persone. Ma Pubblico è veramente la dimostrazione che noi sinistroidi siamo spesso più bravi a parlare che a fare le cose. I migliori critici degli imprenditori italiani, salvo poi comportarci nelle peggiori maniere quando iniziamo un'impresa noi.

Telese dice che avrà modo di spiegarsi domani sulle pagine del giornale. Leggeremo la sua versione dei fatti e ci faremo un'opinione. Ma Luca, stai attento: perché c'è solo una cosa peggiore dello sfruttare il lavoro delle persone. É fare la morale agli sfruttatori e poi comportarsi nella stessa maniera.

mercoledì 26 dicembre 2012

Caro Civati, non credo che fossero queste le parlamentarie che volevamo.

Caro Giuseppe,
mi permetto di darti del tu e di chiamarti per nome perché, seguendoti sul blog e su Twitter, mi sembra quasi di conoscerti.
Ti scrivo perché ho condiviso con te e con tanti altri la necessità di indire le parlamentarie, l'unico modo (finché non cambierà questa oscena legge elettorale) di dare veramente voce ai cittadini. Ma ancora una volta sono rimasto deluso e sconcertato dalle regole decise dalla direzione del Partito Democratico. 
Sinceramente mi sfugge la ratio della maggior parte delle decisioni prese, tenuto conto del fatto che le parlamentarie dovrebbero essere uno strumento per i cittadini tutti, e non soltanto per i simpatizzanti o gli iscritti al Pd.

Fatta questa doverosa premessa, ti chiedo: che senso ha tenere fuori tutti coloro che non hanno votato alle primarie? Il 25 Novembre moltissimi non si sono recati ai seggi perché impossibilitati o semplicemente poco interessati alla sfida. Perché gli si impedisce di partecipare anche questa volta? Sembra che ai piani alti ci sia l'intenzione di recintare il cd “Popolo del Centro Sinistra”, censirlo. Ma un partito europeo deve parlare a tutti, e soprattutto deve andarsi a prendere ogni possibile voto. Le elezioni sono imminenti, il rischio di altri quattro anni di ingovernabilità alto: il Pd non deve rassicurare i suoi, deve entrare nella testa degli indecisi.

Il numero di firme da raccogliere, poi, rende impossibile per chiunque non sia già all'interno dell'apparato del partito di presentare la propria candidatura. In questo modo i famosi nomi “pescati” dalla società civile hanno più possibilità di venire scelti dal segretario attraverso la cooptazione nella sua lista bloccata piuttosto che attraverso l'elezione diretta. 

E poi, soprattutto, mi chiedo come si possano eleggere i parlamentari (che si occuperanno di materie aventi rilievo nazionale o internazionale) sulla base di liste compilate su base locale. Faccio l'esempio di Macerata, città in cui abito: si sono candidate sette persone di cui non so ASSOLUTAMENTE nulla, salvo che cinque di loro sono bersaniani e due renziani. Come posso votare quando non so cosa pensano di politica economica, di unioni omosessuali, sui temi del lavoro e dell'istruzione? Si era detto che dopo le primarie le divisioni sarebbero venute meno, invece mi ritrovo a dover scegliere tra cinque “bersaniani” che fanno parte dell'apparato del Pd e sono nel direttivo locale, e due renziani che ripetono pedissequamente quanto detto da Matteo durante la sua campagna. 

Va bene il collegamento con il territorio, ma il Pd non è la Lega. Non deve difendere gli interessi di una microregione a discapito del sistema paese. I parlamentari devono parlare a tutti gli italiani e devono occuparsi di materie per cui sono richieste competenze specifiche. Competenze che in queste parlamentarie non verranno fuori (almeno non nel mio territorio).
Il rischio è che diventi tutta una sfida muscolare tra apparati e tra correnti, con i cittadini che non solo non hanno la possibilità di candidarsi, ma neanche di votare.

martedì 25 dicembre 2012

Riflessioni natalizie

In pieno spirito natalizio, con la fine dell'anno che si avvicina inesorabilmente, mi ritrovo costretto mio malgrado ad utilizzare questo spazio virtuale per una piccola riflessione natalizia.
Un altro anno se ne è andato, e non mi sento né più vecchio né più maturo. Si dice che il tempo sia il migliore di tutti i maestri, ma uccida tutti i suoi allievi. Io devo essere uno studente particolarmente indisciplinato, perché nonostante tutto non ho ancora nessun idea di quello che fare della mia vita. Continuo a studiare giurisprudenza con una certa lena, timoroso di finire fuori corso ma ancora più spaventato per quello che verrà dopo. Leggo, scrivo e faccio tutto quelle attività che mi danno soddisfazione senza avere un quadro preciso di quello che sono o quello che voglio diventare.

Forse la colpa è di video come questo, che ti dicono di fare del tuo meglio per realizzare i tuoi sogni. Di prendere la tua vita e farne un capolavoro. Fin da piccolo ti bombardano di messaggi che ti invitano a diventare Qualcuno, perché il rischio di essere un signor nessuno è sempre dietro l'angolo. Devi essere il migliore, perché l'epoca delle piccole soddisfazioni è passato. Adesso è il Merito ad aver preso il sopravvento.

Ed allora diciamocelo pure chiaramente: anche io voglio il meglio dalla mia vita. Certo, essere figlio di una buona famiglia mi aiuterà nel percorso. Certo, la mia costante indecisione su cosa fare con le mie capacità potrebbe essere un ostacolo verso il successo. Ma di sicuro voglio il massimo per me e per le persone che amo. Ma continuando di questo passo stiamo sacrificando le cose più belle della nostra vita sull'altare dei sogni.

Basterebbe fermarsi un attimo a pensare che il meglio deve ancora arrivare, ma molte cose buone le abbiamo già ottenute. Guardiamo al futuro, ma non dimentichiamoci delle cose belle del presente. Anche quando si tratta di un presente difficile e traballante.

Il mio auguro di Natale verso di voi (e verso di me) è proprio questo: fate della vostra vita un capolavoro, ma non sacrificate quello che già avete di bello. Bisogna rischiare, ma non si può buttare al macero il passato. Perché il sorriso di tuo nonno nella notte della vigilia vale tutto il Natale.

domenica 23 dicembre 2012

Morale della favola...

Morale della favola: Berlusconi, che ha distrutto il paese ed è stato al governo per dieci anni, si candida alla guida dei moderati pur essendo un estremista. Con fidanzata ventenne al seguito e le solite tre televisioni in più.

Grillo, comico adattato alla politica, con toni leghisti e populismo facile promette di uscire dall'euro, forche pubbliche per i politici e tanti vaffanculo per tutti. Un Non statuto per una Non Democrazia.

Casini e Montezemolo difendono Monti ad oltranza. Non perché ne condividano l'agenda ma perché in due hanno cinque voti. Senza Cuffaro è difficile superare lo sbarramento, vero Pierferdinando?

Bersani è messo meglio degli altri. Ha molte idee e tutte confuse, con ichino e Vendola che tirano in direzioni opposte una coperta già corta. Meglio la confusione al caos, nella speranza che la Bindi non ritorni in parlamento.

E Monti? Monti non si candida, ma propone la sua agenda. Però se qualcuno fa il suo nome lui è disponibile. Però basta leaderismo, ci vogliono le idee. Però le idee devono essere le sue. Però forse non diventerà Presidente della Repubblica. Però forse...

lunedì 26 novembre 2012

I NODI DEL PD CHE NON VENGONO MAI AL PETTINE.



Basta ascoltare un'intervista a caso di D'Alema per sentirlo dire che “il partito democratico è un grande partito, l'unico di stampo europeo in Italia”. E non serve martellarsi le palle ascoltando il suo intervento per intero, perché tanto lo ripete una volta ogni cinque minuti. Tranquilli, fate la prova.

Chiaramente la mentalità vetusta di D'Alema è rimasta ai tempi del PC, quando essere un grande partito significava organizzazione, obbedienza, radicamento sul territorio, militanza militanza militanza. E poi, ovviamente, ancora militanza.

Oggi le cose sono un po' cambiate, ed il partito democratico farebbe bene ad adeguarsi. Se non si raccolgono le migliori idee della società civile si rischia di rimanere indietro. E possono succedere cose brutte. Per esempio può succedere che gli unici successi negli ultimi cinque anni (le vittorie a Napoli e Milano) non siano frutto del tuo lavoro ma di quello dei tuoi alleati (Vendola e Di Pietro) che un secondo ti amano ed il secondo dopo ti schifano. O può succedere che governi Berlusconi per diciotto anni.

Del resto un partito dovrebbe essere un contenitore di idee, possibilmente innovative. E quale opportunità migliore per parlare di contenuti, se non le primarie? Nonostante la cazzata detta da Bersani (secondo qui se si sono fatte è merito suo, mentre invece no) le primarie potevano essere un'occasione più unica che rara per ammodernare un partito che non è mai stato quello che doveva essere.

Sebbene il mio bilancio di queste primarie sia più che positivo, mi trovo costretto a rilevare un fenomeno piuttosto inquietante: nonostante ci fossero cinque contendenti (due dei quali del Pd), il 95% dei dirigenti del partito democratico si è schierato acriticamente con il segretario Bersani. Dei sindaci l'unico che ha speso due parole in favore di Vendola è stato Emiliano (Bari), guarda caso anche lui figlio della società civile. Tra i parlamentari Sarubbi ed Adinolfi (il quale schierandosi con il sindaco di Firenze gli ha fatto perdere almeno quindicimila voti). Poi c'è Scalfarotto (che pur non essendo parlamentare, è vicepresidente del partito). Poco altro, anzi pochissimo. Il resto? Tutti con il segretario.

Eppure una cosa del genere non è tanto normale. Possibile che politici capaci e competenti come la Concia e Mancuso, che si battono da sempre per il riconoscimento delle unioni omosessuali, abbiano preferito a Renzi (Civil partneship) e Vendola (matrimonio) proprio Bersani (Più o meno come la Germania)? Possibile che nell'enorme corrente cattolica del Partito non ci sia nessuno che si riconosca nelle idee liberal di Renzi (o in quelle di Tabacci)? Per non parlare di Fassina, che nei temi economici ha più o meno le stesse idee di Marx, salvo poi affiancarsi a Bersani senza se e senza ma.

Tutta questa improvvisa coesione da parte della nomenklatura del Pd dovrebbe spaventare un po'. Non solo perché litigano sempre su tutto (a partire dai temi fondamentali) e si ritrovano compatti quando ormai mancano solo pochi mesi alle politiche (voglion tutti rimanere in parlamento, è chiaro) ma sopratutto perché se questo partito non si apre di più all'esterno morirà. I vecchietti emiliani che si fanno quattro ore di fila per “difendere il segretario” alle primarie e che organizzano le feste dell'unità (cioè volevo dire del pd) rappresentano l'ultima generazione di persone che nascono e muoiono a sinistra. Quelle dopo, di generazioni, occorrerà convincerle. Il Partito democratico cosa ha intenzione di fare?

Iniziare un serio piano di ricambio generazionale potrebbe essere un buon inizio per ridimensionare Grillo. Anche mettere una x su quello in cui si crede (e non quello che ti dice il partito) potrebbe essere una buona idea. O no?

Ps: Complimenti a Tabacci, che ha avuto il coraggio di presentarsi a questa sfida. (Rimane comunque un gentleman nonostante il risultato penoso, basta guardare qui)

Pps: Perché i dirigenti del Pd continuano a menarla con questa storia della partecipazione, quando hanno messo otto milioni di regole per impedire alle persone di andare a votare? L'ultima machiavellica trovata per ostacolare i cittadini la trovate qui.


venerdì 23 novembre 2012

It's time to choose.









Siamo ad un bivio, compagni. Vi chiamo compagni perché occorre dare sempre il giusto valore alle persone. Vi chiamo compagni, ma spero che questa domenica votino tutti, anche chi compagno non è mai stato o non si è mai sentito tale.

Questa non è una lettera di endorsement. Primo perché a nessuno interessa sapere per chi voterà Francesco Pennesi, secondo perché io stesso sono ancora indeciso. Ho seguito per talmente tanto tempo questo scontro come commentatore twitter super partes che ho finito per abituarmi alla parte.

Questo paese non sta morendo soltanto per via della burocrazia, dell'evasione, della criminalità organizzata, della crisi economica. Sta morendo soprattutto perché manca il coraggio di cambiare.
Il mondo è cambiato, il continente è cambiato, persino il mediterraneo è cambiato. Eppure noi continuiamo a navigare in un limbo politico e giuridico che ci sta lentamente trascinando a fondo.

I nostri codici sono gli stessi che si utilizzavano nel ventennio, i nostri politici sono gli stessi della prima repubblica. Mentre là fuori l'antipolitica dilaga, Noi (e con Noi intendo il cd popolo di sinistra) ci siamo rintanati in una grotta in cui ci rassicuriamo a vicenda, ma abbiamo tutti paura di uscire fuori. Prima per paura del berlusconismo, adesso per paura del turbocapitalismo liberista, siamo rimasti ancorati a coperte di linus assurde (art18) mentre intanto il mondo intorno a noi è cambiato, ha assunto un'altra forma.

É tempo di cambiare. L'Italia è stata per troppo tempo una nave senza timoniere, un derelitto che si muoveva solo per forza d'inerzia. Per questo invito tutti le persone che domenica si recheranno alle urne di puntare su quei candidati che hanno delle idee precise sul futuro dell'Italia.
E queste persone non possono che essere Vendola e Renzi. Se volete che la sinistra (ed un'eventuale governo) sia socialdemocratica, attento agli ultimi grazie a formule keynesiane, coperta da un welfare che premi l'uguaglianza allora scegliete il governatore pugliese.

Se invece volete una sinistra liberal, che preferisca la flexecurity ai contratti nazionali, che metta l'accento sul merito piuttosto che sull'uguaglianza allora mettete una X sul sindaco di Firenze.

La domanda che dovete farvi è: volete una sinistra continentale o una sinistra americana? La risposta non è semplice, ma la riflessione è necessaria.

Ho volutamente dimenticato Bersani. Sebbene lo stimi come persona e come politico, votarlo sarebbe come dire al Pd: “complimenti, in questo ventennio berlusconiano hai fatto proprio un buon lavoro”. Ed invece occorre che chi sbaglia paghi. E Bindi, Fioroni, D'alema, Veltroni, (tutte persone che condizionerebbero e guiderebbero una leadership targata bersani), non hanno mai pagato. Anzi, continuano bellamente a dirigere un partito che è il contrario di quello che doveva essere.

Io mentre scrivevo questa piccola riflessione ho già deciso chi votare. E voi?

Ps: Alle politiche voterò chiunque esca vincitore da questo confronto. Non perché ho firmato una stupido foglio d'intenti ma perché credo che questo centro sinistra, con tutti i suoi difetti, sia l'unico progetto credibile per il paese. Ma non darò voti utili. Dovremmo essere stanchi di andare a votare turandoci il naso. Non votate Bersani per paura di Renzi né questa domenica né la successiva. Non fate questo favore a Bindi e D'alema, perché non mi pare se lo meritino.

domenica 23 settembre 2012

Sallusti non ha la mia solidarietà.

Sallusti non ha la mia solidarietà. Penso che la giustizia debba fare il suo corso e che i giudici abbiano il dovere di applicare la legge. E se verrà condannato ad un anno e tre mesi di carcere spero che Napolitano abbia la decenza di non concedere la grazia.

E' intervenuto persino Travaglio, il suo arcinemico. Segno che molto spesso quelli che davanti alle telecamere si scannano, poi a microfoni spenti si ritrovano dalla stessa parte della barricata. Quella dei privilegiati.

Intendiamoci, i numerosi casi di responsabilità oggettiva presenti nel nostro codice penale sono un odioso retaggio fascista ed andrebbero eliminati. La responsabilità penale deve essere personale e nessuno dovrebbe rischiare il carcere per un fatto altrui.
Ma Sallusti, che non si è mai vergognato di utilizzare la sua posizione per distruggere la reputazione di terzi, non sta affrontando un processo per aver esposto le sue idee (come sostiene lui) ma per diffamazione. Non perché ha esercitato il suo sacrosanto diritto di cronaca, ma perché ha diffamato un'altra persone, per la precisione un magistrato che si trovava a lavorare in un contesto delicato.

In nessun ordinamento giuridico dovrebbe essere lecita la distruzione sistematica della reputazione e del buon nome di altre persone. Ed infatti, nonostante quello che dicano alcuni, il reato di diffamazione è espressamente previsto in numerosi codici penali in Europa e nel mondo.

Certo, la sanzione prevista rispetto al fatto commesso è completamente sproporzionata, ingiusta, quasi certamente incostituzionale. Ma onestamente non mi interessa. Non mi interessano le alzate di scudi di questi signori giornalisti, di questi politici che si accorgono che il nostro sistema giuridico fa acqua da tutte le parti soltanto quando viene colpito uno di loro.

Dove sono i parlamentari, i giornalisti, i garantisti quando si tratta di denunciare il sovraffollamento inumano delle carceri? Perché Sallusti merita di essere salvato dalle storture di un sistema giuridico sempre più disfunzionale, quando 28000 (VENTOTTOMILA) persone, ventottomila innocenti, si trovano nelle carceri italiani in custodia preventiva, senza aver avuto la possibilità di dimostrare la loro innocenza? Lorsignori sono a conoscenza del fatto che quindicimila di questi detenuti sono in attesa del giudizio di primo grado?

Lo sanno, certo che lo sanno. Ma Sallusti è il direttore di un quotidiano di diffusione nazionale. E' un italiano privilegiato, un cittadino che non può essere vittima delle storture di un sistema giudiziario sempre più barbaro ed incivile.

Perché ormai il livello di ingiustizia in questo paese si è fatto così intollerabile che esistono due tipi di italiani. I privilegiati, che si aiutano a vicenda ed in un modo o nell'altro si salvano sempre, ed i poveracci, che se finiscono in carcere senza processo devono esserselo in qualche modo meritato. Quelli che ricevono la grazia direttamente dal Presidente della Repubblica e quelli che si suicidano in una cella sovraffollata.

martedì 11 settembre 2012

9/01/2001:Il nostro più grande alibi.


Mi ricordo l'undici settembre del 2001. Ero piccolo e stavo sul letto a guardare l'ennesima puntata di happy days quando c'è stata l'edizione straordinaria del telegiornale. Nessuno ci credeva. Tutta la famiglia guardava le immagini del crollo, dell'aereo, del fumo con uno sguardo catatonico. Abbiamo avuto bisogno di aspettare il notiziario della sera per convincerci che l'attentato era avvenuto per davvero. Ad undici anni dalla tragedia lo sgomento è venuto meno, la paura ancora no.

Persino i più convinti degli antiamericani erano consapevoli che quell'attacco non era diretto soltanto agli Stati Uniti. Era un messaggio all'Occidente opulento, per certi versi violento e saccheggiatore, ma soprattutto laico, “infedele”.

Da quel giorno ci siamo sentiti accerchiati, colpiti al cuore. Una sindrome di accerchiamento che ci ha impedito di guardare non solo il mondo islamico, ma tutti gli altri mondi con lucidità. Quelle torri distrutte, quelle persone morte in quel modo orribile sono diventati il nostro alibi per fingere di non vedere, per continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto: cooperare con gli Altri senza considerarli mai uguali, mai abbastanza evoluti.

Tremila persone sono morte direttamente in questa tragedia senza senso, frutto di una interpretazione di un testo sacro che, al contrario di quello che pensano in molti, potrebbe essere portatore di cultura e tolleranza esattamente come il Vangelo. Ma quei tremila americani sono soltanto la superficie, perché oggi appare impossibile non considerare tra i caduti anche i 100000 civili afghani ed i 68000  iracheni, morti in due guerre assurde che hanno attizzato il fuoco dell'odio piuttosto che spegnerlo.

Alibi, dicevo. Quell'attentato è stato anche l'alibi che cercavamo per continuare a credere che gli islamici non sono in grado di creare una società laica se non attraverso sanguinose dittature foraggiate dall'occidente. Come se noi non avessimo e non continuassimo ad avere difficili rapporti tra potere sacro e profano, come se il fanatismo fosse un dramma tutto orientale.

Neanche la primavera araba è riuscita a smuovere le nostre coscienze. Abbiamo continuato a vedere questi giovani in cerca di libertà come un fastidio piuttosto che un'opportunità. Quando gli italiani lottavano per la loro indipendenza erano visti con simpatia dai popoli di tutta Europa (popoli, non governi), e Garibaldi nei suoi viaggi era accolto come un eroe di fama mondiale.
Noi invece nelle rivolte arabe abbiamo provato soltanto paura e diffidenza. Paura di venire assaliti da masse incontrollate di stranieri. Diffidenza, perché alla fine soltanto noi ci meritiamo di vivere in democrazia.

Piango le vittime del 911 ma piango anche le nostre ipocrisie e le nostre paure. Spesso comprensibili ma quasi sempre totalmente infondate.

domenica 9 settembre 2012

L'inadeguatezza del Bersani candidato.

Il ruolo di Bersani in queste primarie appare quantomeno ambiguo. Con Nichi Vendola uscito inspiegabilmente di scena (a proposito, se qualcuno sa dove si trova informatelo che la campagna elettorale per la guida del centro sinistra è iniziata), Bersani sembra essere rimasto l'unico credibile oppositore di un lanciatissimo Matteo Renzi.

Ma mentre il sindaco di Firenze ha capito perfettamente come si fa politica nel mondo di oggi, Bersani sta perdendo terreno e lucidità commettendo errori (a mio parere) facilmente evitabili.

Renzi, guardando intelligentemente alla politica statunitense, sa benissimo che in campagna elettorale è fondamentale regalare emozioni, proiettando le proprie ambizioni nella mente dei cittadini. Traendo spunto dai candidati americani, si è messo a scrivere libri (che, pur criticatissimi, sembrano essere decisamente più fruibili della raccolta di interviste pubblicata da Bersani), è sempre presente nel web (twitta quotidianamente) ed i suoi discorsi avvicinano non solo i delusi dal pd ma tanti liberali del pdl.

Bersani, d'altro canto, appare totalmente inadeguato alla comunicazione sul web (come splendidamente spiegato da Mantellini sul post) ed i suoi discorsi sembrano infervorare soltanto i militanti, gli unici a sentirsi vicini al segretario per via di una storia politica affine e di una comune militanza all'interno del partito.
In questo, bisogna dirlo, Bersani è molto bravo: è capace di coccolare ed incoraggiare gli iscritti pd, facendoli sentire parte di qualcosa di più grande. Ma le sue frasi iniziano tutte con un plurale maiestatis (“noi vogliamo”/ “il pd vuole”) completamente inadatto a coinvolgere tutti quelli che al di fuori dal partito dovrebbero essere spinti a votarlo come candidato del centro sinistra (e poi come premier).

Altro (grossolano) errore è stato quello di incassare più o meno volontariamente l'appoggio di tutti i big del partito. Ottenere l'approvazione di Veltroni e D'alema ha fatto il gioco di Renzi, che spesso preferisce fare la figura del rottamatore (io sono il nuovo che avanza, lui è la diretta emanazione dei vecchi dirigenti incapaci) piuttosto che parlare di contenuti e progetti.

Almeno in questa campagna elettorale per le primarie, che si fa ogni giorno sempre più serrata, Bersani dovrebbe smetterla di comportarsi come un arbitro imparziale che cerca di mettere pace tra le varie anime del partito e trasformarsi in candidato e competitore. Per farlo deve iniziare a parlare di leggi, di economia, di progetti politici.

Se la competizione continuerà a basarsi sui proclami e sulla capacità di emozionare ed emozionarsi, Renzi (così come Vendola) sarà sempre più adatto di lui. Il campo in cui Bersani può competere alla pari con il sindaco di Firenze sono i contenuti. Soltanto i contenuti.

Bersani deve dimostrare al popolo della sinistra di appartenere genuinamente alla socialdemocrazia europea. Deve ricordare a tutti quelli che andranno a votare che le sue intenzioni sono quelle (sacrosante) di snellire la burocrazia, individuare e smantellare le numerose corporazioni che affossano il paese, abbassare le tasse. Ma che ha intenzione di farlo senza cancellare la parola welfare dal vocabolario politico.

Solo in questo modo Renzi sarà costretto ad abbandonare tutte le riserve e spiegarci finalmente che modello economico e sociale vuole per il futuro. Perché come dimostra la mancata risposta ai quesiti di Polito, il giovane sindaco fa fatica a sbottonarsi. Mentre noi per votare con coscienza ed onniscenza abbiamo un assoluto bisogno di saperlo.

venerdì 7 settembre 2012

Lo sfogo di Favia



Lo sfogo di Favia non ha stupito né i detrattori né i simpatizzanti di Grillo. Che nel Movimento Cinque Stelle mancasse totalmente la democrazia ed il dibattito interno era noto a tutti, e non serviva una conversazione estorta di nascosto per averne la prova definitiva.

Dispiace certamente che il consigliere regionale, invece che confermare le sue affermazioni ed aprire finalmente un dibattito interno nel movimento, prometta le dimissioni come se questa fosse l'unica soluzione possibile per tutti coloro che criticano il padre padrone. Ennesima sconfitta di un Movimento che si dimostra ogni giorno di più lacerato dalle contraddizioni, con il capo ed i suoi fedelissimi privi di una visione del paese che vada al di là dei facili slogan e delle promesse a buon mercato.

Divertente è poi la maniera in cui Favia si autoassolve: “La colpa è mia. Due anni in mezzo agli squali non mi hanno fatto crescere sullo stomaco tutto quel pelo che serve per reggere la pressione che c'è oggi intorno al Movimento".
Gli altri, TUTTI gli altri, sarebbero degli squali pronti ad azzannarti alla prima occasione. Lui, invece, che ha spudoratamente mentito in diretta tv giurando e spergiurando che Casaleggio non aveva alcuna rilevanza all'interno del Movimento (mentre invece pensava l'esatto contrario) è un chiaro esempio di correttezza ed onestà intellettuale.

Purtroppo nel web è già iniziata la controffensiva del popolo dei grillini, i quali stanno tempestando di insulti chiunque provi a muovere critiche a questo modo di fare politica. Ormai la fede nel capo ha nettamente prevalso sui valori e sulla capacità di critica. Esattamente come era successo con Bossi e con Berlusconi.

A quanto pare siamo sempre in cerca di qualche salvatore a cui affidarci. Quando questo ci tradisce abbandoniamo qualsiasi fiducia nella politica, oppure cerchiamo velocemente un altro ducetto che ci possa imbonire in tutta tranquillità.




giovedì 6 settembre 2012

I complottisti dell'Euro.



Giusto ieri, passando una infruttuosa serata su Twitter, ho avuto un veloce scambio di battute con Claudio Borghi (giornalista de Il Giornale ed economista) tirato in ballo dal mio nuovo amico Bruno. Oggetto della discussione la pretesa (a mio parere populista) di uscire dall'euro e tornare alla mai dimenticata lira.





Ho apprezzato lo scambio di battute che è stato civile e spiritoso. Quello che invece mi ha stupito sono stati i numerosi messaggi che ho ricevuto poi da militanti antieuropei (non tutti grillini) i quali mi accusavano di essere un "indottrinato da Monti", uno studente "ignorante", uno che dovrebbe "aprire gli occhi".

Ritengo che pretendere di potenziare l'export attraverso la svalutazione di una moneta che neanche esiste più (invece che iniziare a pensare a come migliorare i nostri prodotti) sia demagogico e senza senso, ma cerco sempre di ascoltare e di imparare qualcosa. Quello che mi ha stupito è il gran numero di persone che, un pò per colpa della crisi un pò per via dell'ignoranza, ritengono che l'adozione dell'Euro sia stata una gigantesca congiura dei tedeschi ai danni dell'Italia.

Pur volendo sopravvalutare enormemente le capacità del popolo germanico, non si capisce proprio come la classe dirigente teutonica sarebbe riuscita a fregare l'Italia (e tutti le altre nazioni europee) convincendola a sostituire la lira con la moneta unica. Questa teoria complottistica è così assurda che assomiglia alle stronzate sulle scie chimiche,quasi mi vergogno a scriverne. Sta di fatto che queste persone convinte di avere la Verità dentro la tasca, questa gente che ti accusa di essere indottrinato se non la pensi come loro costituiscono una delle cause del disastro del paese. Non certo la soluzione.

mercoledì 5 settembre 2012

Il teatrino delle alleanze.

I politici italiani cercano disperatamente un rapido consenso che scivola inesorabilmente via nei sondaggi. Preistoriche figure si aggirano tra le liste bloccate della politica peninsulare, ed in particolare tra la sinistra di questo paese confuso.
In una situazione stravolta dall'incertezza sul futuro economico, un ceto politico serio dovrebbe pensare ai contenuti. Dovrebbe guardare ad un progetto credibile per crescere, o quantomeno per smettere di cadere.

Non dovrebbe essere troppo difficile: del resto i disastri Berlusconiani avrebbero consegnato il paese a qualsiasi sinistra del mondo. Ma non alla sinistra italica. No, non al Pd. Un partito serio avrebbe stilato un programma leggibile anche da una persona che non ha cinque lauree e l'avrebbe pubblicizzato. Non un tomo di cinquemila pagine, un programma breve e comprensibile. Poi avrebbe trovato uno o due alleati disposti a condividerlo ed organizzato delle primarie credibili (possibilmente con uno statuto) Basta, nient'altro.

No, il Pd questo non lo può fare. Perché deve ascoltare D'Alema che non vuole Vendola che a sua volta rifugge Casini mentre Bersani cerca di fare l'ammucchiata contro Renzi. Una politica fatta di nomi, sigle, acronimi in un paese che vuole risposte concrete. Ma quando manca la concretezza, quando mancano le risposte ai problemi dei cittadini, allora diventa tutta una caciara. E nella caciara vince il più bello, il più simpatico, il più fico. Quello di successo, quello che buca lo schermo. Nella caciara vince Berlusconi, che intanto ha perso sette chili e vuole tornare in politica.

Risposte concrete, che non significano risposte facili. In un paese in preda alla crisi bisogna avere il coraggio di dire dove il paese deve andare. Che può non essere il luogo che vorrebbero i cittadini. Almeno non sempre.

I cittadini sono svegli, apprezzano chi fa una scelta, chi si occupa del lavoro, dell'economia, della cultura, dell'istruzione, dei diritti civili. Ma se parli solo di acronimi, di sigle, di Vendoli e Casini, allora gli italiani pensano che sei un cazzaro. E se sei un cazzaro penoso, allora tanto vale sceglire quello che lo fa meglio, il cazzaro. Tanto vale scegliere Grillo e Berlusconi.

Parliamo di scelte, cazzo. Basta con questo modo di fare i pupazzi nel teatrino delle alleanze. Perché se la politica diventa una scelta tra comici, i cittadini sceglieranno sempre Beppe e Silvio. Loro, almeno,il comico lo fanno di professione.

lunedì 20 agosto 2012

La laicità di Frattini



Dopo aver sentito Frattini affermare che "la battaglia del crocifisso diventa anche un esempio di lotta per la libertà religiosa" posso dire di averle sentite tutte. La lotta portata avanti dal Pdl ( e da alcune frange cattoliche della società) per evitare che venisse abrogato un REGOLAMENTO fascista (non avente quindi rango di legge) che obbligava le scuole ad esporre il crocefisso nelle aule è stata una battaglia di intolleranza e odio verso tutti coloro che nella società italiani si dichiaravano laici. E' stato schiacciato il diritto di ognuno di professare la propria fede (compresa quella cattolica) o di non professarne nessuna in nome di una religione di stato che ha fatto già tanti danni a questo paese. In questi periodi di Meeting riminesi è bene ricordare ancora una volta che l'Italia non è un paese confessionale, né tantomeno un paese concordatario. E' un paese LAICO.

mercoledì 8 agosto 2012

Dalla parte di Schwazer.

Vedendo le Olimpiadi seduto sulla poltrona, l'italiano medio potrebbe pensare che lo sport è prima di tutto tenacia, rispetto delle regole e dell'avversario, spirito di sacrificio. Ma chiunque abbia praticato una disciplina sportiva sa bene che agonismo significa anche cattiveria, prevaricazione, furbizia al limite dell'inganno. La visione dello sport come di un'attività che di per sé è in grado di migliorare l'uomo è frutto di un'analisi plurisecolare sciocca e raffazzonata. Lo sport può portare benefici all'essere umano soltanto tenendo conto della maniera in cui viene praticato e le capacità delle persone che se ne occupano.

Fatta questa doverosa introduzione, è bene analizzare con occhio critico i risultati della spedizione italiana a Londra e rendersi conto di un dato incontrovertibile:la nostra nazionale ha raggiunto degli splendidi risultati soltanto negli sport minori, con un evidente zero assoluto nel medagliere sia nel nuoto che nell'atletica leggera.
La carabina, la scherma, il tiro con l'arco sono sport stupendi che meritano di essere praticati ed aperti al grande pubblico, ma tutte le medaglie che ci hanno regalato gli italiani che si sono cimentati in queste discipline non sono frutto di una politica sportiva, bensì della caparbietà e della costanza dei singoli atleti.
Manca completamente una visione d'insieme, un progetto per il futuro dello sport in Italia. Invece che dare uno stipendio agli atleti già formati e maturi spacciandoli per militari, l'obiettivo del Coni dovrebbe essere quello di riportare lo sport nelle scuole, tra i giovani. Non solo per rivedere finalmente un Mennea o uno Yuri Chechi con la casacca della nazionale italiana, ma anche e soprattutto per combattere l'obesità e tutte quelle malattie che possono essere arginate soltanto con una vita sana ed una costante pratica sportiva.
Ma per promuovere un progetto occorrono delle idee, e per avere delle idee serve persone che si intendano di sport. Tutto il contrario dei burocrati del Coni.


L'importante non è vincere, ma partecipare. Diceva il padre dello spirito olimpico. Beati gli ultimi, perché saranno i primi, sosteneva un personaggio altrettanto famoso.
Eppure gli italiani non riescono proprio a vedere le proprie stelle perdere. Non sono riusciti a perdonare alla Pellegrini un'olimpiade senza medaglie, nonostante i grandi successi degli ultimi anni nella sua specialità. L'accusa è di essere una sbruffona, una che pensa alle pubblicità invece di nuotare.
La verità è che in Italia puoi crearti un'immagine fuori dalle competizioni solo se sei un calciatore. Solo se pratichi lo sport nazionale puoi di andare in tv, essere antipatico, diventare una figura nazionale. Se pratichi solo il nuoto, e per di più sei una donna, devi essere umile, simpatica, con la testa sulle spalle. Zitta e nuota, e se non vinci ti tiriamo anche i pomodori.

Ma l'usanza medievale di allestire gogne sulla pubblica piazza, che nel secolo di internet è splendidamente rappresentata dai social network, raggiunge il suo apice con l'espulsione di Schwarzer per doping.
Apriti cielo, finalmente abbiamo un mezzo tedesco da impiccare! Un popolo che ha imparato a perdonare tutto, abituato alle raccomandazioni ed alle furberie, non può accettare che un suo atleta prenda dell'epo. No, questo proprio non si può. Errare è umano, ma in Italia non è permesso. Non nella settimana delle olimpiadi, comunque.

E proprio questo quello che cercavo di spiegare nella mia piccola introduzione: lo sport combatte l'obesità, le insufficienze cardiache, persino la solitudine. Ma solo se gestito da persone competenti, solo se praticato con un certo spirito.
Ma se la mentalità è quella medievale dimostrata in queste olimpiadi dagli italiani, allora lo sport può essere un'arma tremenda. Può persino distruggere la vita di un atleta abituato al lavoro ed il sacrificio. Un ragazzo come Alex Schwazer.

martedì 29 maggio 2012

Il terremoto su twitter, ovvero la fiera dell'ipocrisia.






Se un popolo venisse giudicato dal modo in cui affronta le tragedie, noi italiani forse saremmo i peggiori ed i migliori del pianeta. Già, perché mentre centinaia di volontari si recavano nei luoghi del territorio per aiutare gli sfollati, su twitter si celebrava la fiera dell'ipocrisia.

Per scatenare l'isteria collettiva, si sa, basta poco. Ad accenderla infatti è un tweet di Melissa Satta, ex velina e non so che altro piuttosto famosa nella penisola, colpevole di condividere con i suoi follower il suo nuovo look occhialuto in un momento così drammatico:





Allo sfortunato messaggio seguono numerosi tweets di insulti e indignazione, come se la signorina Satta solitamente si occupasse della teoria della relatività o la pace in Medio Oriente. La modella si scusa e la rabbia della folla si spegne.
Ma solo per poco. Sotto l'egida dell'ashtag #no2giugno, il popolo di twitter trova un altro acerrimo nemico: la parata militare. Che, secondo giornalisti ben informati sui fatti, costerebbe fino a 10 milioni di euro.



                                 




Ora, io non sono un grande fan della parata militare, però il 2 giugno non si celebra la festa della bruschetta, ma la nascita della Repubblica Italiana. Capisco che sia difficile di questi tempi trovare un italiano legato al proprio paese, ma non stiamo parlando di una ricorrenza qualunque.
Con questo non voglio dire che dobbiamo festeggiare fregandocene di quello che sta succedendo in Emilia. Dico solo che, proprio per rispetto delle persone che stanno soffrendo per il terremoto, dovremmo renderci conto di quanto sia assurda  e demagogica questa proposta.
Perché, tralasciando il fatto che i soldi per la parata sono già stati spesi, non saranno certo i due o tre milioni del 2 giugno a restituire una casa agli italiani che l'hanno persa. E perché se adesso sopprimiamo la ricorrenza, dovremo sopprimerla sempre: l'anno scorso c'è stato il record decennale di morti bianche sul posto di lavoro, eppure il 2 giugno si è celebrato ugualmente. Perché per A si, ma per B no?
Il 2 giugno dovrebbe rappresentare l'unità di tutti gli italiani di fronte alle tragedie, ed i politici prima degli altri hanno il dovere di rendersene conto. E invece no:



Sono rimasto affranto dalle immagine del terremoto, dalla distruzione dei luoghi e dalla morte delle persone. Ma questa solidarietà farlocca, che dura soltanto fino alla prossima partita di calcio, non serve a nessuno. Ho visitato l'Aquila due volte negli ultimi due anni ed ho visto la desolazione negli occhi dei terremotati. La consapevolezza di essere stati dimenticati, la certezza di essere ormai passati nell'immaginario collettivo da vittime a rompicoglioni.

Restiamo vicini a queste persone, vigiliamo affinchè lo Stato non si dimentichi di loro. Ma non usiamo questi eventi per mandare messaggi, o per fare politica. Qualcuno ha addirittura messo in vendita libri sul terremoto nel proprio blog. Oggi stesso, come se niente fosse. Non seguiamo Grillo nello sciacallaggio.






sabato 28 aprile 2012

Se i populisti se la prendono con l'Europa.


Persino le democrazie più sviluppate del mondo devono confrontarsi con il populismo. Con dei politici o dei movimenti che sfruttano le paure e le miserie della gente invece che cercare di risolverne i problemi.
In Finlandia ci sono i veri finlandesi, nel Regno Unito c'è l'Ukip (United Kingdom indipendent party), in Italia abbiamo la Lega ed il M5S.

Il termine populismo è ampiamente utilizzato da politici ed esperti, ma il suo significato generale è piuttosto difficile e sfuggente, tanto che persino Wikipedia si rifiuta di darne una nozione nella lingua italiana.
A mio parere il termine populismo è strettamente legato a quello di demagogia, ossia un comportamento politico che “attraverso false promesse vicine ai desideri del popolo mira ad accaparrarsi il suo favore. Spesso il demagogo fa leva su sentimenti irrazionali e bisogni sociali latenti, alimentando la paura o l'odio nei confronti dell'avversario politico o di minoranze utilizzate come "capro espiatorio".

La demagogia ed il populismo rappresentano una malattia per la democrazia, che erode il consenso fondamentale che lega i cittadini con le istituzioni e spinge la società in una situazione di precarietà. I tratti salienti del politico demagogico e populista sono conosciuti: utilizzo di un linguaggio violento e volutamente anti-istituzionale (come quello di Grillo e Bossi, per intenderci), adozione di valori che, pur essendo spesso antitetici a quelli democratici, sfruttano le paure ed i bisogni delle fasce sociali più deboli.
Per rimanere nei nostri due esempi concreti: la Lega nasce per contrastare il (giusto) disagio che provavano gli artigiani ed i piccoli imprenditori del Nord, vessati da tasse assurdamente alte e da una burocrazia soffocante. Ma invece che cercare di risolvere il problema con delle soluzioni politiche sensate, Bossi ha preferito puntare sull'odio ed il razzismo verso Roma ed il Sud d'Italia, proponendo un progetto politico irrealizzabile come la secessione.
Ugualmente il Grillismo nasce da un'istanza popolare sacrosanta, ossia il desiderio di avere un ceto politico onesto e produttivo. Ma invece che cercare delle soluzioni adeguate ai due problemi che incancreniscono il nostro sistema politico (la burocrazia e la corruzione), Grillo propone con un linguaggio violento la totale cancellazione dei partiti politici. Ipotesi che ci trascinerebbe nella dittatura.

Solitamente i populismi cercano di colpire i più deboli della società. Ed infatti in tutta Europa aumentano xenofobia e razzismo. Inveire contro gli immigrati (o gli omosessuali), ritenuti colpevoli del decadimento della società, è una prassi comune tra i demagoghi europei. Inutile ripetere quanto sia pericoloso mettere l'uno contro l'altro i più deboli della società, esattamente come è inutile ricordare che, ogni volta che il populismo ha vinto, la democrazia è morta. E se muore la democrazia nasce la dittatura. Non c'è altra soluzione.

Il populismo segue uno schema piuttosto semplice. Perde potere quando la congiuntura economica è buona e favorevole, ne acquista quando c'è crisi. Se le fasce sociali più deboli si trovano in difficoltà economica saranno più propense a credere alle bugie, e la povertà rafforza gli estremismi.
Naturalmente ci sono molti altri fattori che favoriscono estremismo e populismo. In Italia la burocrazia soffocante, le tasse incredibilmente alte, una mai raggiunta coesione sociale tra nord e sud hanno sempre costituito un vero e proprio serbatoio di voti per il populista Berlusconi, che si accaparrava l'elettorato italiano grazie ad un'abilità politica fuori dal comune, il controllo assoluta dei mezzi di comunicazione e le migliori promesse in salsa demagogica.

Ma oggi il razzismo non premia più come una volta. Prima di tutto perché nei paesi europei socialmente più sviluppati (soprattutto nel freddo nord) anche i ceti sociali più deboli si sono accorti della necessità intrinseca di ogni stato di disporre di flussi migratori costanti per aumentare la natalità e ricoprire quei settori lavoratovi (di bassa manovalanza) che gli autoctono non sono più disposti a svolgere. Poi perché di fronte a questa nuova crisi finanziaria tanto i cittadini nazionali quanto gli stranieri si sono ritrovati vittime inermi, scarsamente protetti dalla società e dalla politica, e darsi la colpa a vicenda era veramente difficile. (Apparirebbe poco credibile persino per uno che le spara grosse come Bossi addossare la colpa del crollo dei mercati agli immigrati africani, no?)

Proprio per questo i nuovi populismi di tutto il continente si sono indirizzati verso un nuovo nemico: il processo di integrazione europea. Tanto Wilders in Olanda quanto Lapen in Francia danno la colpa all'”Europa dei banchieri e degli affaristi”. Secondo questi politici sarebbe in atto un complotto internazionale ad opera di speculatori internazionali, con il beneplacito o la complicità dei “burocrati di Bruxelles”. La loro soluzione, condivisa da Grillo, sarebbe quella di uscire dall'euro e di ritornare allo stato-nazione. Rimettere in piedi le frontiere e permettere che torni nuovamente a soffiare il vento del nazionalismo.

Ma siamo sicuri che l'euro sia la causa dei nostri mali? Quanti di noi si sono chiesti cosa sarebbe successo se fossimo rimasti alla lira? Siamo veramente sicuri che adesso l'Italia sarebbe rimasta fuori dalla crisi dell'eurozona, svalutando continuamente una lira fragile e già di per sé svalutata?

La risposta degli economisti più lungimiranti è no. L'euro ed il processo di integrazione europea è l'unico modo per l'Europa di rimanere competitiva nel mondo. Senza l'adozione della moneta unica l'Italia non sarebbe mai stata in grado di collocare nel mercato il suo gigantesco debito pubblico, ed adesso sarebbe in banca rotta.

Con questo voglio dire che l'Unione Europea sia perfetta? Assolutamente no. La crisi ha mostrato tutti i difetti delle istituzioni europee, troppo deboli e senza l'adeguato appoggio democratico di cui avrebbero bisogno. Ma questa non è una scusa per cercare soluzioni che all'apparenza sembrano semplici, ma che in realtà nascondono delle catastrofi inimmaginabili: il cosiddetto default guidato di una nazione come l'Italia produrrebbe un disastro sociale ed economico dalle conseguenze difficilmente prevedibili. E chi lo propone per accaparrarsi qualche voto o è uno stolto o è in malafede.

Dobbiamo difendere il progetto di integrazione europea perché, nonostante quello che dicono alcuni pseudo-comunisti, è un progetto progressista. Un continente unito politicamente, senza guerra ne frontiere, rappresenta una novità importante per il nostro paese, ed è tutt'ora l'ipotesi più sensata per uscire dalla crisi dell'eurozona.

Tutti ricordiamo con piacere gli anni in cui compravano una pizza per mille lire, ma i tempi sono cambiati. Il mondo è cambiato. Prima la Cina e l'India erano solo due nazioni nel mappamondo, adesso dettano l'agenda mondiale insieme al Brasile. L'Italia può stare al passo coi tempi, deve stare al passo dei tempi.

martedì 24 aprile 2012

Gli ultrà ed i fatti di Genova.


Come è già stato scritto e commentato, allo stadio Ferraris di Genova sono state violate due dignità. Quella dei ventimila tifosi che avevano pagato un biglietto per vedere una partita, e quella della polizia italiana, ancora una volta costretta all'angolo da un manipolo di violenti.

In un paese semicivile una partita di calcio è e rimane sempre e soltanto uno spettacolo, uno sport, che per quanto emozionante e coinvolgente possa essere non supera mai i limiti imposti dalla decenza e dalla legalità. Ma nell'Italia della crisi e dello spread lo sport più giocato al mondo continua ad essere elevato a scopo di vita e motivo di lotta da ancora troppe persone. E così da fonte di svago e divertimento si trasforma in campo di battaglia, centro di malaffare, esempio topico di una società senza direzione.

Gli ultrà parlano di valori come fratellanza, orgoglio e rispetto, ma non c'è niente di più vergognoso dei fatti avvenuti a Genova. Esattamente come avevano fatto gli ultrà serbi, questi pseudotifosi genoani hanno sequestrato un intero stadio pieno di persone, ragazzi, famiglie che voleva solamente godersi una giornata di calcio e sport. Il modo in cui una ventina di balordi ha spaventato e piegato alla propria volontà i diritti di tutti gli altri ventimila spettatori paganti è vergognoso e violento.

La polizia inspiegabilmente ha permesso questa situazione di illegalità, abdicando al suo ruolo e tradendo la fiducia di tutti gli spettatori presenti. Ed anche i calciatori sono state delle vittime: la violenza psicologica (e fisica) a cui sono stati sottoposti è ingiusta e immotivata. Soltanto perché guadagnano tanti soldi non significa che gli altri possano spaventarli o minacciarli.

Ormai il calcio è diventato malato e pericoloso. La polizia ha il dovere di mantenere l'ordine pubblico in caso di manifestazioni sportive, ma i poliziotti non devono e non possono trasformarsi in guerriglieri del vietnam calcistico.
Per questo la soluzione deve essere drastico e rapida. Le società sportive di serie A devono avere l'obbligo giuridico di costruirsi stadi di loro proprietà in un periodo ragionevole (dieci o quindici anni). Quando tutte le società avranno i propri stadi (esattamente come succede in Spagna), avranno poi anche il dovere/diritto di provvedere alla sicurezza dell'impianto ed al corretto svolgimento della manifestazione sportiva.
In questo modo non solo si responsabilizzerebbero le società, spesso vittime e complici del “tifo organizzato”, ma si rivitalizzerebbe il nostro morente movimento calcistico. E' risaputo che tra i principali motivi del nostro crollo nel ranking uefa ci sono la moria di spettatori e la mancanza di stadi privati.

Ridiamo al calcio quel che è del calcio, ed allo stato quel che è dello stato. Al calcio spetta la corsa, il movimento atletico, il tackle, il colpo di testa e di tacco. Le punizioni di Del Piero, l'umanità di Sculli, i passaggi di Totti. Allo stato spetta la politica, le idee, le ideologie e soprattutto il monopolio dell'uso della forza.

venerdì 20 aprile 2012

Caro Grillo, mi ricordi Bossi.


E' veramente divertente, Grillo. Si, perché lui non è un politico. Lui è un cittadino prestato alla politica.
Non essendo lui un politico, può dire qualsiasi stronzata gli passi per la testa. Perché quando le dice non è il politico a parlare, ma il comico. Quando invece gli capita di dire cose sensate allora no, allora quello è il Grillo politico.

Intendiamoci, Grillo mi stava anche simpatico. L'idea di creare un moto di protesta contro le ruberie dei partiti ci poteva anche stare. Scuotere le coscienze, indignarsi. Sai, quelle cazzate lì. Il V-Day, che per finezza e intelligenza si è avvicinato molto alla Pontida leghista, è stata una bella manifestazione. Alcuni hanno parlato, altri hanno suonato, ci siamo tutti incazzati contro i politici. Insomma, la prassi.

Ma caro Grillo, non mi puoi andare all'assalto del parlamento. No, questo no. Non perché sia un'impresa impossibile, dato che in Italia è semplice semplice. Ma perché allora mi diventi come tutti gli altri. Anzi no, peggio degli altri.
In Italia basta iniziare a dare pietrate fisiche e morali ai politici per entrare in parlamento. É semplice:tutti odiano i politici, se tu li denigri pubblicamente tutti ti ameranno. Ma questo non ti rende diverso dai politici disonesti. Ti rende uguale e identico a loro.
Se un politico ruba, è un ladro. Se uno diventa un politico sfruttando le miserie e la povertà della gente, è un opportunista. Un'opportunista scaltro e con la parlantina sciolta, ma sempre opportunista rimane.

Io ho provato a leggerlo, il tuo programma, caro Grillo. Ci sono diverse cose sensate, che condivido. Ma c'era bisogno di fondare un partito? C'era bisogno di aumentare la spaccatura tra ceto politico e persone comuni? Immagino che avere qualche buona idea basti e avanzi per andare in parlamento. Basta condirle con un po' di populismo e qualche sana frase demagogica.

Caro Grillo, magari diventerai anche la terza forza politica del paese. Magari rifiuterai anche la prima tranche di rimborsi pubblici. Ma questo non ti renderà diverso da Bossi. Credimi. Perché quelli che promettono di cambiare tutto,solitamente non cambiano niente. Perché chi non fa proposte realiste come te o è un sognatore o un venditore di sogni in mala fede. E tu, caro Grillo, a sessant'anni suonati, l'età in cui si sogna l'hai passata da un pezzo.

Sono certo che un grillino mi direbbe che loro sono diversi dai leghisti perché non sono un partito, sono un movimento. Grande differenza semiotica. Sono un movimento, quindi non hanno bisogno di una statuto democratico. Sono un movimento, quindi Grillo può fare e dire tutto quello che vuole. Compreso cacciare le persone senza dare spiegazioni.

Gli italiani, già pronti a mettere una x sulla faccia del caro Grillo, si ricordino che questo sedicente movimento promette le stesse cose che prometteva la Lega quando nacque: liberare il parlamento dai ladri e dai corrotti, spazzare i vecchi partiti putridi e incancreniti per fare spazio al nuovo. Sappiamo tutti come è finita: Belsito indagato e sospettato di avere rapporti con la mafia, Bossi che piange davanti ai suoi stessi militanti. Nel processo, però, l'Italia è finita sull'orlo della bancarotta.

Tra l'altro, anche la lega degli inizi si faceva chiamare “movimento”. Ma poi, come tutti sappiamo, è diventato un partito. Perché le parole sono importanti. Ma non sempre.

domenica 8 aprile 2012

Israele bandisce Guenter Grass.

Guenter Grass, premio nobel della letteratura, è stato invitato da Israele a non recarsi più nel suo territorio perché “persona non gradita”. La proibizione arriva dopo che l’autore tedesco aveva inviato ad un giornale di tiratura nazionale una poesia civica, in cui invitava la Germania a non vendere al governo israeliano un sommergibile che sarebbe in grado di lanciare un attacco nucleare all’Iran.
Non c’è niente di più antidemocratico e fascista che bandire un intellettuale dal proprio territorio a causa delle sue opere. Uno stato democratico dovrebbe essere aperto alle critiche, per quanto aspre e sbagliate possano essere. Esiliare o bandire un pensatore per le proprie idee è tipico degli stati totalitari, non certo di una democrazia compiuta come è quella israeliana.

Quello che mi disarma e mi frustra è il fatto che nei principali quotidiani nazionali la poesia non viene né letta né commentata, ma si riporta freddamente la notizia, quasi fosse un evento naturale inevitabile come un uragano o un terremoto. Ormai la questione mediorientale si è così incancrenita su sé stessa che persino i giornalisti hanno abdicato al loro ruolo di analisti e commentatori, per paura di essere tacciati di comunisti o di sionisti o di chissà quale altre corbellerie.

Il diktat israeliano è assurdo e sbagliato. Assurdo perché un governo non dovrebbe mai ergersi  ad arbitro di ciò che un individuo può o non può pensare, sbagliato perché le accuse che vengono mosse a Grass sono pregiudiziali ed infondate.

Si dice che l’autore sia un nazista, e l’accusa offende l’intelligenza di tutti quelli che conoscono le opere dello scrittore tedesco. Grass ha combattuto la seconda guerra mondiale dalla parte del nazismo , episodio che lui stesso nella poesia chiama “Macchia indelebile”. Ma dopo aver militato nelle SS in giovanissima età l’autore si è sempre battuto per la pace e la difesa dei diritti umani. Le persone cambiano, e nessuno oggi potrebbe tacciare Grass di nazismo senza essere in mala fede.
Israele, poi, sostiene che Grass sia un “antisemita, che continua a seminare odio contro il popolo d’Israele”. Ma in realtà lo scrittore non semina alcun odio: basta leggere la poesia per capire che il tedesco vuole soltanto criticare e smuovere le coscienze, senza alcuna intenzione di nuocere né gli israeliani né nessun  altro. La teoria che l’intellettuale sostiene è semplice e logicamente condivisibile: il continuo armamento di qualsiasi paese (Israele compreso) non avvicina i popoli alla pace ma semmai alla violenza.

Israele detiene armamenti atomici ma rifiuta qualsiasi ispezione da parte di organizzazioni internazionali. Sostenere che l’Iran non deve avere l’atomica perché la userebbe con fini distruttivi mentre Gerusalemme può averla perché serve come deterrente è pura ipocrisia. Gli armamenti portano soltanto ad altri armamenti. Se uno stato nemico acquista nuove bombe, allora tutti gli stati della regione le compreranno a loro volta per paura di rimanere militarmente indietro. E’ un circolo vizioso che conosciamo tutti: nuove armi porteranno sempre nuova violenza.

L’ultima accusa che si muove al tedesco è di aver messo sullo stesso piano Iran o Israele. Anche di questo, nella poesia, non c’è traccia. Grass propone soltanto che sia gli israeliani che gli iraniani accettino che una organizzazione internazionale neutrale (presumibilmente l’Onu) ispezioni i loro arsenali militari e controlli che nessuna delle due abbia armamenti nucleari. Si tratta dell’unico modo possibile per scongiurare una guerra che sembra ogni giorno più imminente e che avrebbe degli esiti incerti non solo per il medio oriente, ma per il mondo intero.

So bene che alcuni dei pochissimi lettori che hanno avuto la pazienza di leggermi fino a qui penseranno che sono un comunista filo-palestinese, e che magari fabbrico molotov a casa che invio mensilmente alla striscia di Gaza. Mi dispiace deludervi, ma non nutro nessun disprezzo né per gli ebrei né per i palestinesi. Desidero soltanto accendere la televisione e non sentire il solito ed alienante elenco di morti prodotti dalla situazione medio-orientale.

In quanto a Grass, il modo migliore per dimostrarvi che le accuse rivoltegli sono completamente infondate è leggersi la poesia . Si tratta di un’opera interessante e priva di qualsiasi antisemitismo. Perché non basta criticare l’operato di Israele per diventare antisemiti, mentre basta essere indifferenti o ideologicamente schierati per aumentare l’odio e la violenza.





Quello che va detto
(Gunter Grass)
 
Perché taccio e passo sotto silenzio troppo a lungo
una cosa che è evidente e si è messa in pratica in giochi di guerra
alla fine dei quali, da sopravvissuti,
noi siamo al massimo delle note a piè di pagina.

Il diritto affermato ad un decisivo attacco preventivo
che potrebbe cancellare il popolo iraniano,
soggiogato da un fanfarone
e spinto alla gioia organizzata,
perché nella sfera di quanto gli è possibile realizzare
si sospetta la costruzione di una bomba atomica.

E allora perché proibisco a me stesso
di chiamare per nome l’altro paese,
in cui da anni — anche se si tratta di un segreto —
si dispone di crescenti capacità nucleari,
che rimangono fuori dal controllo perché mantenute
inaccessibili?
Un fatto tenuto genericamente nascosto:
a questo nascondere sottostà il mio silenzio.
Mi sento oppresso dal peso della menzogna
e costretto a sottostarvi, avendo ben presente la pena in cui si incorre
quando la si ignora:
il verdetto di “antisemitismo” è di uso normale.

Ora però, poiché da parte del mio paese,
un paese che di volta in volta ha l’esclusiva di certi crimini
che non hanno paragone, e di volta in volta è costretto a giustificarsi,
dovrebbe essere consegnato a Israele
un altro sommergibile
-di nuovo per puri scopi commerciali, anche se
con lingua svelta si parla di «riparazione»-
in grado di dirigere testate devastanti laddove
non è provata l’esistenza di una sola bomba atomica,
una forza probatoria che funziona da spauracchio,
dico quello che deve essere detto.

Ma perché ho taciuto fino ad ora?
Perché pensavo che le mie origini,
stigmatizzate da una macchia indelebile,
impedissero di aspettarsi questo dato di fatto
come una verità dichiarata dallo Stato d’Israele;
Stato d’Israele al quale sono e voglio restare legato.

Perché dico solo adesso,
da vecchio e col mio ultimo inchiostro,
che le armi nucleari di Israele minacciano
una pace mondiale già fragile?
Perché deve essere detto
quello che domani potrebbe essere troppo tardi per dire;
anche perché noi — come tedeschi già con sufficienti colpe a carico —
potremmo diventare quelli che hanno fornito i mezzi necessari ad un crimine
prevedibile, e nessuna delle solite scuse
varrebbe a cancellare questo.
 
E lo ammetto: non taccio più
perché sono stanco 
dell’ipocrisia dell’Occidente; perché è auspicabile
che molti vogliano uscire dal silenzio,
che esortino alla rinuncia il promotore
del pericolo che si va prospettando
ed insistano anche perché
un controllo libero e senza limiti di tempo
del potenziale atomico israeliano
e delle installazioni nucleari iraniane
esercitato da un’organizzazione internazionale
sia consentito dai governi di entrambi i paesi.

Solo in questo modo per tutti, israeliani e palestinesi,
e più ancora per tutti gli uomini che vivono
da nemici confinanti in quella regione
occupata dalla follia
ci sarà una via d’uscita,
e alla fine anche per noi.
 
 
Ps: riporto alla fine un servizio di Claudio Pagliara, inviato Rai in medio oriente, come esempio di un giornalista che ha da tempo abdicato al suo lavoro. Non indaga se le motivazioni che adduce Israele per bandire Grass siano vere o no, ma si limita a darle per buone solo perché escono dalla bocca del governo di Gerusalemme. Misteri tipici di Rai1. 

sabato 7 aprile 2012

La fine della purezza leghista.

Prima ancora che su razzismo, prima ancora che sulla stessa secessione, il mito del leghismo si è fondato sulla purezza. Sulla capacità dei leghisti di rimanere imperturbabilmente diversi da tutti gli altri politici, presumibilmente corrotti ed incuranti dei loro elettori.

La grande capacità di Bossi è sempre stata quella di accendere nei suoi militanti la rabbia e la frustrazione nei confronti di uno stato capace di sommergerti di tasse ma totalmente inadatto ad offrirti servizi validi ed efficienti. Il grande sviluppo della lega è dovuto proprio a Mani Pulite ed al collasso della prima repubblica. La retorica leghista della diversità ontologica delle proprie intenzioni, la purezza della propria volontà rigenerante hanno convinto moltissimi italiani (non solo al nord), stanchi e schifati da politici corrotti.

Ma se vuoi ergerti a puro in un mare magnum di corrotti, non puoi permetterti il minimo sbaglio. E per lungo tempo i leghisti ci sono anche riusciti. O meglio, per lungo tempo Bossi c'è anche riuscito. Ai suoi militanti ha promesso fin dall’inizio poche cose, ma precise: il federalismo e la lotta all’immigrazione. Decentramento e razzismo. Semplice, populista e di sicuro impatto.

Ma poi la malattia di Bossi ed il fisiologico sfaldamento che colpisce tutti i movimenti che hanno obiettivi irrealizzabili ha lentamente eroso l’impianto ideologico su cui si basava il leghismo. Il sogno razzista di rendere il nord senza immigrati si è dimostrato una pura utopia, tanto che neanche una legge ideologica come la Bossi-Fini ha prodotto risultati apprezzabili, mentre il federalismo è rimasto lettera morta nonostante dodici anni di governo.

Persino i militanti più convinti si sono resi conto che la Padania rappresenta un territorio culturalmente e storicamente inesistente, avente la stessa consistenza giuridica dell’Assurdista. Il mito della secessione è stato il primo a crollare, seguito a ruota dalla pulizia etnica del nord e dal federalismo.

Ma come ho già detto, i militanti leghisti, la famosa base dura e pura, era pienamente e consapevolmente disposta a perdonare il totale fallimento del programma politico e culturale leghista. Perché quello che veramente volevano gli elettori del Carroccio non era una padania senza terroni, né tantomeno uno stato federalista. Quello che veramente desideravano i “verdi” era votare un movimento politico diverso dagli altri, un movimento di protesta e di lotta, un movimento “puro” e incorrotto.
Ma la permanente alleanza con Berlusconi e la lotta fratricida tra Bossi e Maroni hanno scalfito anche quest’ultima certezza. I dubbi dei militanti si sono poi ingigantiti con l’entrata in scena del Trota, un personaggio politico dalle dubbie capacità oratorie e dirigenziali, la cui ineguatezza era evidente persino in un ambiente come quello leghista che non brilla certo per intelligenza.

Ma il cuore della base è stato definitivamente spezzato dalla scoperta che il loro amato capo, Umberto Bossi, che aveva promesso di avercelo sempre duro, è corrotto e comprabile esattamente come tutti gli altri. La scoperta che anche lui, in fondo, non è diverso dai politici della prima repubblicaha distrutto la residua fiducia degli elettori leghisti.

Magari la Lega sopravvivrà al terribile scandalo, ma non sarà più la stessa. Non avrà mai più lo stesso peso. Perché la Padania si può sempre fare, ma la purezza, come la verginità, una volta perduta non si riacquista più.