sabato 28 aprile 2012

Se i populisti se la prendono con l'Europa.


Persino le democrazie più sviluppate del mondo devono confrontarsi con il populismo. Con dei politici o dei movimenti che sfruttano le paure e le miserie della gente invece che cercare di risolverne i problemi.
In Finlandia ci sono i veri finlandesi, nel Regno Unito c'è l'Ukip (United Kingdom indipendent party), in Italia abbiamo la Lega ed il M5S.

Il termine populismo è ampiamente utilizzato da politici ed esperti, ma il suo significato generale è piuttosto difficile e sfuggente, tanto che persino Wikipedia si rifiuta di darne una nozione nella lingua italiana.
A mio parere il termine populismo è strettamente legato a quello di demagogia, ossia un comportamento politico che “attraverso false promesse vicine ai desideri del popolo mira ad accaparrarsi il suo favore. Spesso il demagogo fa leva su sentimenti irrazionali e bisogni sociali latenti, alimentando la paura o l'odio nei confronti dell'avversario politico o di minoranze utilizzate come "capro espiatorio".

La demagogia ed il populismo rappresentano una malattia per la democrazia, che erode il consenso fondamentale che lega i cittadini con le istituzioni e spinge la società in una situazione di precarietà. I tratti salienti del politico demagogico e populista sono conosciuti: utilizzo di un linguaggio violento e volutamente anti-istituzionale (come quello di Grillo e Bossi, per intenderci), adozione di valori che, pur essendo spesso antitetici a quelli democratici, sfruttano le paure ed i bisogni delle fasce sociali più deboli.
Per rimanere nei nostri due esempi concreti: la Lega nasce per contrastare il (giusto) disagio che provavano gli artigiani ed i piccoli imprenditori del Nord, vessati da tasse assurdamente alte e da una burocrazia soffocante. Ma invece che cercare di risolvere il problema con delle soluzioni politiche sensate, Bossi ha preferito puntare sull'odio ed il razzismo verso Roma ed il Sud d'Italia, proponendo un progetto politico irrealizzabile come la secessione.
Ugualmente il Grillismo nasce da un'istanza popolare sacrosanta, ossia il desiderio di avere un ceto politico onesto e produttivo. Ma invece che cercare delle soluzioni adeguate ai due problemi che incancreniscono il nostro sistema politico (la burocrazia e la corruzione), Grillo propone con un linguaggio violento la totale cancellazione dei partiti politici. Ipotesi che ci trascinerebbe nella dittatura.

Solitamente i populismi cercano di colpire i più deboli della società. Ed infatti in tutta Europa aumentano xenofobia e razzismo. Inveire contro gli immigrati (o gli omosessuali), ritenuti colpevoli del decadimento della società, è una prassi comune tra i demagoghi europei. Inutile ripetere quanto sia pericoloso mettere l'uno contro l'altro i più deboli della società, esattamente come è inutile ricordare che, ogni volta che il populismo ha vinto, la democrazia è morta. E se muore la democrazia nasce la dittatura. Non c'è altra soluzione.

Il populismo segue uno schema piuttosto semplice. Perde potere quando la congiuntura economica è buona e favorevole, ne acquista quando c'è crisi. Se le fasce sociali più deboli si trovano in difficoltà economica saranno più propense a credere alle bugie, e la povertà rafforza gli estremismi.
Naturalmente ci sono molti altri fattori che favoriscono estremismo e populismo. In Italia la burocrazia soffocante, le tasse incredibilmente alte, una mai raggiunta coesione sociale tra nord e sud hanno sempre costituito un vero e proprio serbatoio di voti per il populista Berlusconi, che si accaparrava l'elettorato italiano grazie ad un'abilità politica fuori dal comune, il controllo assoluta dei mezzi di comunicazione e le migliori promesse in salsa demagogica.

Ma oggi il razzismo non premia più come una volta. Prima di tutto perché nei paesi europei socialmente più sviluppati (soprattutto nel freddo nord) anche i ceti sociali più deboli si sono accorti della necessità intrinseca di ogni stato di disporre di flussi migratori costanti per aumentare la natalità e ricoprire quei settori lavoratovi (di bassa manovalanza) che gli autoctono non sono più disposti a svolgere. Poi perché di fronte a questa nuova crisi finanziaria tanto i cittadini nazionali quanto gli stranieri si sono ritrovati vittime inermi, scarsamente protetti dalla società e dalla politica, e darsi la colpa a vicenda era veramente difficile. (Apparirebbe poco credibile persino per uno che le spara grosse come Bossi addossare la colpa del crollo dei mercati agli immigrati africani, no?)

Proprio per questo i nuovi populismi di tutto il continente si sono indirizzati verso un nuovo nemico: il processo di integrazione europea. Tanto Wilders in Olanda quanto Lapen in Francia danno la colpa all'”Europa dei banchieri e degli affaristi”. Secondo questi politici sarebbe in atto un complotto internazionale ad opera di speculatori internazionali, con il beneplacito o la complicità dei “burocrati di Bruxelles”. La loro soluzione, condivisa da Grillo, sarebbe quella di uscire dall'euro e di ritornare allo stato-nazione. Rimettere in piedi le frontiere e permettere che torni nuovamente a soffiare il vento del nazionalismo.

Ma siamo sicuri che l'euro sia la causa dei nostri mali? Quanti di noi si sono chiesti cosa sarebbe successo se fossimo rimasti alla lira? Siamo veramente sicuri che adesso l'Italia sarebbe rimasta fuori dalla crisi dell'eurozona, svalutando continuamente una lira fragile e già di per sé svalutata?

La risposta degli economisti più lungimiranti è no. L'euro ed il processo di integrazione europea è l'unico modo per l'Europa di rimanere competitiva nel mondo. Senza l'adozione della moneta unica l'Italia non sarebbe mai stata in grado di collocare nel mercato il suo gigantesco debito pubblico, ed adesso sarebbe in banca rotta.

Con questo voglio dire che l'Unione Europea sia perfetta? Assolutamente no. La crisi ha mostrato tutti i difetti delle istituzioni europee, troppo deboli e senza l'adeguato appoggio democratico di cui avrebbero bisogno. Ma questa non è una scusa per cercare soluzioni che all'apparenza sembrano semplici, ma che in realtà nascondono delle catastrofi inimmaginabili: il cosiddetto default guidato di una nazione come l'Italia produrrebbe un disastro sociale ed economico dalle conseguenze difficilmente prevedibili. E chi lo propone per accaparrarsi qualche voto o è uno stolto o è in malafede.

Dobbiamo difendere il progetto di integrazione europea perché, nonostante quello che dicono alcuni pseudo-comunisti, è un progetto progressista. Un continente unito politicamente, senza guerra ne frontiere, rappresenta una novità importante per il nostro paese, ed è tutt'ora l'ipotesi più sensata per uscire dalla crisi dell'eurozona.

Tutti ricordiamo con piacere gli anni in cui compravano una pizza per mille lire, ma i tempi sono cambiati. Il mondo è cambiato. Prima la Cina e l'India erano solo due nazioni nel mappamondo, adesso dettano l'agenda mondiale insieme al Brasile. L'Italia può stare al passo coi tempi, deve stare al passo dei tempi.

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