domenica 27 ottobre 2013

Soffocare, World war z, Il lungo inverno di Frankie Machine.

Soffocare- Chuck Palahniuk
Victor Mancini è uno studente di medicina fallito, sessodipendente e cinico. Partecipa agli incontri dei satiriaci anonimi con il solo scopo di trovare altre ragazze con la sua stessa patologia e potersele fare nel bagno della struttura. Ha una madre pazza e malata che l'ha costretto ad una vita di fuga e di rigetto dell'autorità costituita, che vede nel figlio la reincarnazione di Gesù Cristo.  Per poterla curare inizia a fingere di morire soffocato, affinché qualcuno lo salvi e gli dia dei soldi in segno di riconoscenza per “averlo fatto sentire un eroe”.
Gli altri due personaggi della storia? Danny, il suo migliore amico, ha una malattia ossessiva che lo obbliga a farsi le seghe ogni due secondi. La dottoressa Marshall, invece, vuole rimanere incinta del protagonista, convinta di conoscere un modo per salvare la madre di Victor dalla sua demenza senile.
Devo continuare?
Palahiuk prosegue la sua analisi sul sesso, la società ed i rapporti di forza/costrizione che ognuno di noi ha con i propri genitori, ma per farlo si serve di una storia così assurda che fa tutto il giro è diventa ridicola.
Tutti ci sentiamo soffocati dai vincoli a cui siamo costretti in famiglia ed in società, ma il lettore si ritrova confuso e perso tra le continue scene al limite del grottesco che si susseguono lungo il corso del romanzo. Nonostante un'introduzione travolgente, diventa fin da subito impossibile immedesimarsi con Victor o Danny, ed il gioco sottile tra finzione e realtà che pervade il romanzo diventa sempre più complicato fino a risultare incomprensibile.
Ci si chiede fin da subito se la storia che viene raccontata sia il frutto della fantasia del protagonista oppure accada veramente, e la sensazione di soffocamento si trasferisce dal protagonista al lettore in meno di due capitoli. Forse era quello lo scopo dell'autore, sta di fatto che nella lettura la noia supera di gran lunga qualsiasi altra sensazione.
Chuck Palahniuk? O lo ami, o lo odi. Non ci sono mezze misure. Io, personalmente, lo odio.

World War Z- Max Brooks

Zombie, zombie, zombie! Basterebbe quello per farmi amare qualsiasi romanzo, film, serie tv. Ma Brooks, esattamente come Romero, utilizza gli zombie come scusa per parlare di altro. Della natura umana, delle nostre menti, della società contemporanea.
Il romanzo ci racconta delle reazioni del genere umano all'apocalisse dei morti viventi attraverso delle interviste. Le esperienze dei singoli personaggi sono brevi, e non sono collegate tra di loro. 
I capitoli sono brevissimi, ciascuno dedicato ad un sopravvissuto. 
Brooks crea un mondo nuovo, immaginando le reazioni delle varie nazioni all'invasione degli zombie. Cosa farebbero gli Stati Uniti? Ed Israele? L'unione europea?Ebrei e palestinesi si continuerebbero ad odiare anche all'alba della fine del mondo? Gli americani la smetterebbero di essere dei cazzoni guerrafondai (la risposta, ovviamente, è no).
Per la prima volta i morti viventi non vengono presi come incentivo all'indagine della natura umana, ma per capire meglio la nostra società e le sue numerose disfunzioni.
L'obiettivo del libro non è quello di offrire un'ambientazione horror, e chi si approccia a questo titolo sperando in una storia survival rimarrà deluso. Non c'è Rick Grimes o Michonne, non ci sono combattimenti all'arma bianca. Il punto di vista è più ampio, globale, ed anche quando il protagonista intervista persone comuni quello che conta è l'indagare le reazioni della collettività ad una tragedia simile.
Max Brooks crea un mondo nuovo, ricostruito dopo l'invasione degli zombie, e ci spiega perché e come il genere umano è riuscito a sopravvivere.
Un'analisi molto acuta sulla società americana e la politica internazionale, consigliata anche a chi odia gli zombie.

Il lungo inverno di Frankie Machine- Don Wislow
Don Wislow è considerato uno dei migliori scrittori noir in circolazione. Il Lungo inverno di Frankie Machine è un libro che soddisferà sicuramente tutti gli amanti del noir, ma lascerà con l'amaro in bocca coloro che si aspettano dal genere qualcosa di più.
Frankie Machine è il solito ex sicario della mafia che, diventato vecchio, ha cambiato vita ed ha iniziato a rigare dritto. Ovviamente, il suo passato violento tornerà a bussargli alla porta ed il buon Frankie sarà costretto a rispolverare la beretta.
La narrazione si alterna tra il passato ed il presente di Frankie, la storia scorre veloce, è ben scritta. Ma è fredda, senz'anima. Nel corso della narrazione si alternano più di venti personaggi, ma il lettore non riesce ad immedesimarsi con nessuno di loro. Lo stesso protagonista, il leggendario Frankie Machine, sembra fatto di marmo: non è particolarmente violento quando viene descritto giovane (e gangster) né particolarmente buono quando diventa vecchio (ed onesto). Le emozioni rimangono sullo sfondo, i personaggi sono monodimensionali, ed a farla da padrone sono le sparatorie ed i soliti intrecci tra mafia e politica.
Un bel libro, che si lascia leggere, ma chi dice che Don Wislow è il re del noir non ha mai letto autori come Jean-Claude Izzo o Massimo Carlotto. Gente di un altro pianeta, che hanno la sfiga di non essere americani.

domenica 7 aprile 2013

Sui fatti di Civitanova Marche e la rinascita del sottoproletariato urbano.



La vicenda del triplice suicidio a Civitanova Marche lascia sbalorditi non solo per la tragicità dell'evento in sè, ma anche per l'incredibile dignità che traspare dagli atti e dalle motivazioni dei protagonisti di questo terribile fatto di cronaca.

Ma se per un attimo lasciamo da parte i risvolti emotivi di tutta la vicenda, ponendo in un cassetto le nostre emozioni, scopriamo che c'è molto da riflettere sul fatto e sulle sue conseguenze.
Oltre alla prevedibile spettacolarizzazione dell'evento, fenomeno ormai imprescindibile nella società contemporanea, appare chiara la rinascita del cd sottoproletariato, ossia quella parte dei ceti popolari/operai (che ancora esistono,malgrado tutte le analisi che vanno in senso contrario)  che non arrivano alla fine del mese e vengono gradualmente emarginati dalla società.

Grazie al boom economico ed allo sviluppo industriale i ceti popolari hanno visto notevolmente migliarato la loro condizione di vita, tanto che anche i più poveri tra gli operai possono permettersi beni di consumo durevoli (come la macchina, per esempio) tipici della società consumistica. Il progresso ed uno stato sociale sempre più attento verso gli ultimi avevano incluso anche il proletariato in quell'insieme di benefici e condizioni di vita che potremmo definire "benessere".

Con l'avvento della crisi stanno chiaramente però riemergendo tutti i problemi che l'Italia aveva cacciato sotto al tappeto pompando le casse statale con soldi che non erano spendibili dagli italiani (e con cui oggi dobbiamo fare i conti quando parliamo del famoso debito pubblico). Problemi che non solo non sono mai stati risolti, ma neanche realmente affrontati. Sto pensando alla divisione tra nord e sud, la famosa questione meridionale, oppure la mancanza di una vera pianificazione industriale, che manca da anni e costringe tutti gli operatori economici del paese a navigare a vista, bloccando gli investimenti e mettendo in dubbio il futuro del paese.

Problemi che prima o poi dovevano riemergere. Ed adesso, che vengono a bussare alla nostra porta, ci troviamo ad affrontarli quando fuori infuria una crisi terribile ed una congiuntura economica sfavorevolissima. Crisi che non può essere incautamente paragonata con la caduta di Wall Street (che causò poi il collasso delle democrazie liberali negli anni venti) ma che non deve essere sottovalutata come sta puntualmente facendo la nostra classe dirigente, perennemente in campagna elettorale.

Problemi, appunto, che aumentano la forbice tra ricchi e poveri e dividono quest'ultimi tra quelli che possono ancora godere di alcune forme di tutela e quelli che invece rimangono totalmente privi di aiuto. E la divisione non potrebbe essere più netta: il ceto impiegatizio che non teme per il suo posto di lavoro (nonostante una paga spesso inadeguata) mentre i lavoratori del settore privato passibili di licenziamento, quelli che già hanno un impiego tutelati dalla cassa integrazione e quelli che fanno ora il loro ingresso nel mercato del lavoro condannati alla precarietà perpetua.

Queste divisioni tra gli ultimi creano una guerra tra poveri, conflitto che fino ad ora è stato messo a tacere dall'odio comune verso il politico, verso la casta. Ma non sembra essere traccia di una ricomposizione in tempi rapidi tra gli appartenenti a questo ceto, in parte anche per colpa di quegli operatori economici (in primis i sindacati) che stanno mancando al loro ruolo fondamentale di trade-union delle classi lavoratrici.

Ma tutte le segmentazioni possibili ed immaginabili tra gli ultimi non reggono dinanzi alla rinascita del cd sottoproletariato. Persone che anche a causa della precedente floridezza economica non solo non hanno gli strumenti economici per superare il momento di indigenza, ma non hanno le forze psicologiche per accettare la loro condizione. Chi ha vissuto in una condizione di relativa stabilità economica e si è sempre ritenuto parte integrante della società difficilmente accetterà di essere considerato ultimo, indigente, disperato. Questo dovrebbe far riflettere i nostri decision-maker (seppure esistono) non solo sugli effetti economici della crisi, ma anche sul malessere che può creare nella nostra popolazione.

Questa piccola analisi, che in realtà apparirà scontata e forse anche sbagliata a chi si intenda un minimo di fenomeni sociologici, serve per ricordarmi che dalla nostra capacità di prendere decisioni per il futuro dipenderà anche la società italiana del domani, nella speranza che sia meno diseguale e meno frammentata di quella di oggi. 

mercoledì 3 aprile 2013

RECENSIONE:The Walking Dead 3x16

Le tre possibili reazioni che hanno avuto i fans di TWD dopo aver visto la puntata finale della terza serie:
1)Vi prego, ditemi che è uno scherzo.
2)No, dai, in realtà il file che ho scaricato illegalmente deve essere stato danneggiato dall'Fbi. Devono mancare almeno venticinque minuti.
3)Chi ha scritto questa roba deve essere uno zombie.

Ora, intendiamoci, in questo angolo di web si è grandi fan del prodotto di Kirkman, tanto che l'abbiamo adorato anche quando i nostri eroi sono rimasti intrappolati per un'intera stagione in una fattoria...ma un tale livello di sciattume visto nei dialoghi di questa puntata hanno fatto inorridire persino noi. Ma partiamo dall'inizio.

La puntata sembra promettere bene. Andrea sta per essere torturata a morte ed il governatore è più carico che mai. Nei primi cinque minuti purtroppo la nostra bionda non schiatta, ma almeno il governatore mostra tutta la sua badasseria stuprando psicologicamente il povero Milton (non che fosse difficile, eh, però noi ci accontentiamo facilmente.


Dopo aver scaldato adeguatamente i motori, arriva il momento clou della terza stagione. Sì, esatto, quello per cui abbiamo aspettato qualcosa come quindici puntate: l'attacco alla prigione. 
Nessuno si aspetta un combattimento da apocalypse now. Ci accontentiamo di un pò di tensione, qualche proiettile volante e almeno uno o due personaggi sbranati vivi. Dai, almeno due. 
Ed infatti tutto inizia nel migliore dei modi: 

i nostri eroi armati fino ai denti

  e quelli di woodbury agguerriti e pericolissimi (più o meno, dai)

Ed infatti fino all'ingresso nella prigione da parte del governatore e della sua milizia personale di sgherri la tensione è palpabile, e lo spettatore di media intelligenza si sta già chiedendo quale dei suoi personaggi preferiti creperà tra atroci dolori. 
POI, INVECE, accadono una serie di eventi così idioti che non sarebbero risultati plausibili neanche ad un poveraccio che ha passato gli ultimi dieci anni della sua vita ad ascoltare i dischi di Apicella al contrario doppiati in giapponese.

Rigorosamente nell'ordine:
a)due fumogeni e tre zombie fanno fuggire spaventati quaranta uomini armati.
b)glenn e maggie vestiti da omini michelin sparano per due ore senza colpire NESSUNO

c)i cattivi si dimenticano di avere un lanciagranate
d)si INCEPPA il cannone mitragliatore sopra una delle jeep del governatore. Ovvero NON viene manomesso, si inceppa proprio. SI INCEPPA. Voce del verbo inceppare. 
e)quelli di woodbury si rendono finalmente conto che dovevano ammazzare altre persone e, prese dallo spavento, scappano rifiutandosi di tornare. In risposta il governatore, dimostrando la stessa democraticità di Beppe Grillo, le uccide TUTTE.
f) Rick si porta dentro la prigione ottomila vecchi per giocare a briscola nei momenti di stanca.

L'impressione è che gli autori abbiano deciso di congelare la serie rimandando tutto al prossimo anno, quando ci sarà il nuovo showrunner e l'intera serie dovrà trovare nuovi binari. Un torto assurdo fatto a tutti gli spettatori, dato che nelle ultime puntate (apparte il bellissimo fillerone dove Rick ha incontrato Morgan) non era successo  NIENTE, eccetto che paventare e preparare il terreno a questo episodio. Il successo deve aver dato alla testa, perché si abusa della pazienza di milioni di stronzi che, come zombie, torneranno naturalmente a guardare il programma il prossimo anno. Ma i sapientoni che sputavano sulla seconda serie e sul povero Darabont a mio modesto parere devono tirarsi un calcio nei coglioni ricredersi. 

VOTO:Due e mezzo (non è zero soltanto perché finalmente muore Andrea). 

il governatore dopo aver letto la sceneggiatura dell'episodio

Merle dopo aver visto la puntata.

 

sabato 23 marzo 2013

Bersani si faccia da parte.

Chiariamo subito un malinteso di fondo che potrebbe compromettere l'interpretazione della mia teoria. Ho grande stima di Bersani. Penso che sia una persona onesta e competente. Certo, non è un leader e non sarebbe mai dovuto essere il frontman della sinistra italiana alle elezioni, ma questo non significa che non ammiri una persona che ha cercato di essere concreto e trasparente.  Soprattutto in una campagna elettorale dove gli italiani facevano fatica ad uscire dal labirinto di stronzate cosmiche create da Grillo e Berlusconi.

Purtroppo, però, Bersani è un perdente. Lo dico a malincuore, perché pur non avendolo votato alle primarie credo che sarebbe stato un ottimo presidente del consiglio. E' un perdente perché ha perso una sfida che nessun altro in nessuna altra parte del mondo sarebbe stato capace di perdere. Si è fatto rimontare da un Berlusconi ai minimi storici e non è riuscito a svincolarsi dall'abbraccio mortale di un capopolo che fino all'altro ieri era un buffone.
Purtroppo le cose stanno così e la sinistra italiana deve prenderne atto: con le primarie abbiamo scelto il cavallo perdente perché siamo un pò perdenti anche noi, perché siamo più conservatori di quello che ci piace credere e perché siamo un pò tutti figli del partito comunista, dove l'apparato e l'obbedienza contano più della vittoria e della possibilità di cambiare le cose. Che ci piaccia o no, le cose stanno così. Poi se preferite continuare a sognare, fate come preferite. Ma quando Morfeo ci ha proposte le due pillole, noi abbiamo scelto quella rossa (in tutti i sensi) e abbiamo deciso di continuare a vivere in un mondo illusorio.




Perché Bersani ha perso? Prima di tutto per un problema di comunicazione. Gli altri leader sono stati capaci di inviare un messaggio ai loro elettori, cosa che Bersani non è mai stato in grado di fare. Certe volte sembrava così etereo e sconclusionato che la sua svogliatezza poteva essere scambiata per menefreghismo, come se si sentisse già vincitore e non dovesse sprecarsi a spiegare il suo programma agli italiani. Berlusconi ha messo in chiaro che avrebbe continuato a cacare sulle leggi e sulla costituzione, promettendo di ridare a tutti l'Imu. Grillo ha chiaramente urlato che son tutti ladri e lui è l'unico good man, the knight in the shining armour. Bersani? L'unica cosa che ho capito è che voleva creare un pò di lavoro. Un pò di lavoro? Ma che minchia significa?







Per carità, Bersani è la copia italiana di Hollande. Carisma zero, molto affidabile, la stessa parlantina di un sacchetto di platica. Ma almeno Hollande è stato aiutato dalla migliore legge elettorale d'Europa (che dovremmo copiare subito) e dal fatto che è convintamente socialista. Per decifrare l'area politica di Bersani servono quindici giornalisti ed il salotto di Vespa, roba da far accopponare la pelle. Insomma, è mancata la chiarezza. Non si è fatta campagna elettorale. Ci si è seduti dopo aver vinto le primarie.

Bersani ha cercato di convincere soltanto i suoi, quelli che nascono e muoiono di sinistra. Quelli che fanno la fila alla festa dell'unità per fare la tessera e quelli che comunque, anche se il pd fa schifo, "ma certo che lo votiamo, non vogliam mica far un favore a Berlusconi". Renzi ha tanti difetti, ma aveva capito una cosa fondamentale: coi voti del Pd rimani segretario, ma senza i voti degli italiani non vincerai mai le elezioni.

Insomma, Bersani ha sbagliato ed ha perso. Ora deve rimediare. Come? La strada che ha imboccato con la presentazione di Boldrini e Grasso alla camera ed al senato è giusta. Mettere nomi nuovi, nomi lontani dall'apparato, nomi della società civile per mettere in difficoltà i grillini. Per costringerli a fare il bene del paese, cioè formare un governo e fare quelle quattro o cinque leggi fondamentali per tornare al voto senza doversi preoccupare della tenuta sociale e democratica del paese.

Ma come, quindi dobbiamo andare dietro ai grillini? Quei populisti  là? Si, perché si deve sempre dare qualcosa per pretendere di ricevere. Perché non sono soltanto i grillini a voler vedere facce nuove. E' il paese che chiede cambiamento ed il Pd deve avere il coraggio di darglielo. A prescindere dall'esito che potrebbe avere quest'esperimento. Perché anche qualora Grillo ed i suoi parlamentari pilotati non accettassero l'accordo, il partito democratico avrebbe comunque fatto tutto il possibile per fare il bene della Repubblica.

Mi dispiace per Bersani, ma ha perso, e non è più tempo per le secondo opportunità. Deve rimanere segretario fino alle prossime elezioni, ma il candidato premier deve essere un altro. Uno che non parli attraverso metafore, uno che non nomini tacchini e giaguari mentre spiega al paese che bisogna continuare a fare sacrifici, o che cerca di spiegare alla Merkel che quest'austerity sta distruggendo la nostra economia e, diciamocelo, ha rotto i coglioni. Uno tipo Civati, per esempio.

martedì 12 marzo 2013

Riguardo il finanziamento pubblico ai partiti.



 Il finanziamento pubblico ai partiti, principale metodo di sostentamento economico dei partiti politici italiani, è stato uno dei cavalli di battaglia del Movimento Cinque Stelle, il partito che, se non si fosse capito, è l'unico vero vincitore di queste elezioni politiche.

Quando si parla del finanziamento, occorre prima di tutto tenere a mente tre cose:
-forme di finanziamento pubblico ai partiti sono presenti in tutti i paesi dell'Unione Europea, ed in particolare in quei sistemi politici che noi italiani dovremmo prendere ad esempio (Francia, Germania e Regno Unito).
-il finanziamento pubblico ai partiti, che sta ingolfando il dibattito politico odierno, rappresenta soltanto lo 0,3% del PIL. Un numero infinitesimale, assolutamente marginale rispetto ai reali problemi economici di questo paese.
-Il finanziamento, già abrogato da un referendum, è stato sempre difeso strenuamente dai partiti e odiato dai cittadini, tanto che l'argomento riemerge ciclicamente nel dibattito politico. I numerosi scandali (anche recentissimi, come il caso Belsito e Batman) hanno contribuito a dare ragione a quel partito che più di tutti (M5S) ha fatto dell'abolizione del finanziamento una questione di vita o di morte (politica). 

Abolizione del finanziamento come questione morale? 
Sicuramentte un problema di moralità c'è. Ma occorre ricordare che il  Governo Monti ha varato una legge che riduce i fondi ed aumenta la trasparenza e la rendicontazione. Il problema alla base è tutto di comunicazione: per difendere la tesi dell'abolizione del finanziamento basta citare i vari scandali della precedente legislatura, mentre per spiegare ai cittadini italiani perché occorre mantenere il sostegno pubblico serve una caratura morale ed un carisma che, in questo momento, l'unico partito che difende il finanziamento (il Pd) non ha.

Se mandi la Bindi a spiegare agli italiani che il finanziamento dovrebbe evitare la corruzione e permettere anche a chi non è miliardario di fare politica, allora prenderai sempre delle bastanate sui denti. E' già un miracolo che gli italiani non abbiano tirato fuori la ghigliottina.

Ma alla base del dilemma non c'è solo un problema di comunicazione. La divisione è anche ideologica. 
Infatti la posizione del movimento cinque stelle contro il finanziamento non è giustificata dalla continue ruberie che hanno avuto come oggetto i fondi pubblici. La tesi di Grillo si basa sulla cancellazione radicale e perpetua dei partiti, in nome di un'altra forma di democrazia che non sia rappresentativa ma diretta. Una specie di visione utopistica che vede la base guidare le scelte dell'esecutivo grazie a continui referendum ed il potere salvifico della rete.

Ora, per onore della cronoca occorre dire che le tesi di Grillo (come tutte le tesi volte a superare la democrazia a favore di un'altro sistema politico) sono irrealizzabili nelle migliori delle ipotesi. Per questo quando si appoggia Grillo nelle sua ansia di abolizione del finanziamento, occorre ricordare che il leader del movimento è contro qualsiasi forma di sussidio pubblico alla "casta", rappresentata nel suo immaginario non solo dai politici, ma anche dai giornalisti, dagli stranieri e più in generale da tutte le persone che non l'hanno votato (mi sto spingendo un pò oltre con l'analisi, ma sono sicuro che ci arriveremo). Se decidiamo di dargli retta per quanto riguarda i partiti, per onestà intellettuale dovremmo seguirlo anche nei tagli alla stampa ed al settore terziario.

Ora, come giustamente detto da scriventi più autorevoli di me, le vie da percorrere per le forze politiche sono due: quelli contro il finanziamento (Grillo e Renzi) devono spiegarci come si finanzieranno i partiti senza i fondi pubblici, e soprattutto come vogliono assicurarne l'indipendenza e l'autonomia. Le risposte come "tanto son tutti ladri", anche se di facile presa sulle persone, non risolvono la questione e semmai l'aggravano.
Invece l'unico povero cristo rimasto a difendere il finanziamento pubblico (Bersani) deve trovare argomentazioni convincenti per convincerci che ci sono buoni motivi per investire nella buona politica. Se poi lo fa senza citare i giaguari ed i tacchini ci fa un grosso piacere. 

lunedì 11 marzo 2013

Cambia tutto, anzi non cambia un cazzo.

Mentre lo spread sale inesorabile e l'offerta di lavoro diminuisce, il nodo gordiano che strozza il paese rimane lo stesso. Grillo si allearà con Bersani oppure no?
E poco importa se la questione è e rimane tutta elettorale: Grillo, che non ha ancora capito che le elezioni sono terminate, spera con tutto il cuore che Bersani sia così incauto da allearsi con B, ottenendo così un plebiscito alle prossime elezioni.
Ma Pierluigi sembra essersi fatto furbo, capisce che il giaguaro Italia ormai non è smacchiabile, ma occorre salvare baracche e burattini. E così le ipotesi migliori per questo paese son tutti scenari che farebbero inorridire qualsiasi altra democrazia occidentale: governo di minoranza, governo tecnico bis, governo di grillo con appoggio esterno dei partiti tradizionali.
Roba che si fa soltanto in Belgio, con tutto il rispetto per i cavoletti di Bruxelles.

E allora cosa gli vai a dire, a questi nuovi e vecchi politici che tengono in ostaggio il paese da vent'anni? Che si diano una mossa? Che inizino a parlare di contenuti, dei problemi del paese? Che facciano finalmente un'altra legge elettorale, magari una o due disposizioni sul conflitto d'interesse, che so, qualche misura anticiclica contro la crisi? Certo che anche qualche norma contro la corruzione non sarebbe mica male!

Poi leggi cose come questa e capisci che l'attuale situazione politica è senza via d'uscita:


Vorresti metterti a spiegare a Grillo che la democrazia significa prima di tutto compromesso, trovare soluzioni comuni partendo da soluzioni divergenti. Che queste idee à la Robenspierre serviranno soltanto a prolungare l'agonia del paese...ma poi capisci che è come spiegare la costituzione a Berlusconi. Non è che non ci arrivi, semplicemente non gliene frega un cazzo.

Che Grillo sia l'effetto e non la causa credo sia chiaro a tutti. Il motivo per cui gente che pensa che gli americani ci controllino la mente attraverso microchip sottocutanei è finita in parlamento la potete trovare su questa foto:

 Ossia i parlamentari del Pdl che fanno un sit-in di protesta al tribunale di Milano. Sapete la prima cosa che ho provato guardando questa foto carica di assurdità e botulino? Non è indignazione, assolutamente no. Il fatto che i parlamentari del mio paese si occupino delle grane giudiziarie del loro datore di lavoro invece che dei miei problemi non mi indigna più da un pezzo.
Quello che provo, piuttosto, è noia. Un'incredibile e continuata sensazione di noia, vedendo il mio paese fare sempre gli stessi errori, bloccato sempre nelle stesse situazioni.

E allora la domanda che sorge spontanea è sempre la stessa.
DOVE CAZZO STA LA SINISTRA?

Dubbio amletico che attanaglia la mente di parecchi italiani. Possiamo essere sicuri soltanto di una cosa, però. Che Crozza imitando Zapatero riesce ad essere più carismatico di Bersani.


martedì 22 gennaio 2013

The following: il pilot.



Stai per metterti a studiare, o meglio, stai cercando la voglia quando bazzicando su twitter un altro drogato di serie tv tuo pari scrive che è uscito il pilot di The Following (ultima impresa della fascistissima fox). Che fai, non lo vedi?

Infatti l'ho visto. E, almeno il pilot, lo consiglio vivamente. Si tratta di una storia piuttosto banale: un serial killer geniale e sociopatico ammazza le persone in nome delle poesie di Edgar Allan Poe. Ovviamente è carismatico, figo e cita a memoria poesie e romanzi dell'autore inglese. Insomma, sarebbe il solito cazzone villain amerigano se non fosse interpretato da Purefoy, uno che proprio cazzone non è.

Anche il poliziotto, un alcolizzato rincorso dai fantasmi del passato, sarebbe una figura già vista se non avesse la faccia di Kevin Bacon. Ma siccome è Kevin Bacon, allora tanto di cappello.

Come dicevo, la storia sembra banale, ma tutto concorre a rendere il pilot perfetto: le musiche (sweet dreams nelle versione Mansoniana ricorre in tutto l'episodio), i dialoghi (taglienti e mai banali) i flashback (la storia corre parallela tra presente e passato).

La trama si infittisce con l'avanzare dell'episodio: l'agente in ritiro interpretato da Bacon non solo è l'unico super detective ad aver catturato nel passato il serial killer, ma si è anche scopato sua moglie (interpretata dall'odiatissima Natalie Zae, che approdando su questo show si SPERA abbandoni definitivamente Justified). Il serial Killer/purefoy sembra essere consapevole della banalità della trama in cui l'hanno ficcato dentro, tanto che dice chiaramente al suo alter ego di aver predisposto tutto affinché lui faccia la parte del cattivo e Bacon quella dell'eroe, in un tentativo apparentemente riuscito di trasformazione della realtà in un'opera d'arte a tutto tondo.

Insomma, gli ingredienti ci sono tutti: suspence, personaggi interessanti, attori da paura. Occorrerà vedere se il pilot è solo un fuoco fatuo o riuscirà a mantenere in riga tutte le premesse. Di sicuro le cose che possono andare storte sono tante: utilizzare una trama già sentita per creare qualcosa di originale può funzionare, ma devi sempre essere capace di evolverti in qualcosa di nuovo.

Voto:7e ½ 

 I due attori fanno grande questo pilot. La fox per pagarli dovrà probabilmente fare altre duemila milioni di stagioni di Grey's Anatomy. 



Natalie Zae, l'attrice più odiata dai fan di Jutified. Se organizzate un hate group contate pure su di me. 
Un membro del cast scelto A CASO per voi ed ESCLUSIVAMENTE per le sue capacità recitative.


sabato 19 gennaio 2013

Django Unchained, l'unico film senza la "quota nera".



Parlare di Django Unchained senza spoilerare è un po' come parlare di schiavitù senza voler dare una lezione sul razzismo. Non è difficile, è semplicemente impossibile.
Ma state tranquilli, non dirò niente.
Andate a vederlo, però. Trovate otto euro e tre ore di tempo ed andate a vederlo. Vi aspettano le solite ottomila citazioni che riconoscono soltanto i rompicoglioni che pensano di essere esperti di cinema, personaggi stupendamente verbosi, tante pallottole ed un po' di sangue (comunque molto meno del previsto).

Django Unchained non è uno spaghetti western. Certo, senza la violenza del primo Django di Corbucci forse non ci sarebbe Tarantino, ma l'ambientazione western è solo una scusa per raccontare una storia. Non è una rivisitazione del genere, è semplicemente Tarantino, che riesce dove moltissimi altri hanno fallito: affrontare il capitolo più tragico della storia degli Stati Uniti senza dover per forza fare il drammone, in punta di piedi, ma sempre senza rinunciare al proprio stile.

Film come questi non andranno mai bene a persone come Spike Lee, moralisti che credono di poter essere gli unici (in quanto neri) ad avere il diritto di fare la lezioncina sulla schiavitù. Gli unici a poter trarre conclusioni. Come ho detto all'inizio:è impossibile voler parlare di schiavitù senza voler dare una lezione di razzismo. Ma Tarantino c'è riuscito.

PS: qualcuno ha criticato il film perché dipinge l'uomo bianco come il solito cattivo della storia. Si sbagliano. Non è l'uomo bianco il cattivo in questo film. È l'uomo americano. Non credo sia un caso che l'unico personaggio ad avere un cuore nel film sia un europeo. 


(se Tarantino non vi piace e state cercando di trovare un motivo per andarci, Kerry Washington potrebbe essere il motivo che fa per voi)

(il personaggio migliore della storia. Del cinema. Dell'umanità. Della via lattea. Della galassia)
(Quando Leonardo Di Caprio fa il ruolo del cattivo più cattivo della storia del cinema, che dà la gente in pasto ai cani per il puro piacere di farlo, e la ragazza seduta next to you ti dice comunque che è un gran figo, allora capisci che per il genere femminile non c'è nessuna speranza di redenzione e che la schivitù è l'unica soluzione possibile.)

venerdì 11 gennaio 2013

Servizio Pubblico: la disfatta di Santoro.

Era stato tutto preparato. Persino le musiche iniziali lasciavano pensare ad una corrida, un lungo inseguimento finalmente concluso con l'umiliazione della preda. Ma Santoro aveva fatto i conti senza l'oste. Credeva di essere il torero, invece il suo ruolo era quello del toro.

Berlusconi sorride, fa battute. Si muove con scioltezza in un ambiente chiaramente ostile. Dimostra ancora una volta che la televisione è il suo habitat natural, un mezzo che padroneggia come nessun altro al mondo.

Se servizio pubblico fosse stato un prodotto di giornalismo, per B sarebbe stata una disfatta. Metterlo davanti ad una intervista vera avrebbe messo in risalto tutte le sue contraddizioni, tutte le bugie che propina quotidianamente all'Italia ed in particolare alla sua gente. Ma quello di Santoro non è giornalismo, è avanspettacolo. Uno show fatto di duelli e di piccoli monologhi da operetta dove Silvio Berlusconi può dare il meglio di sé.

Ed allora eccoci qui, ad assistere all'ennesimo spettacolo indegno dove Berlusconi ci spiega che l'Italia non funziona perché è ingovernabile. Perché c'è il parlamento e la corte costituzionale, queste schifezze che lo ostacolano. Insomma, perché c'è la democrazia.

Sarebbe bastato un economista per smascherare le bugie di B, un costituzionalista per fare luce sull'assurdità delle sue idee istituzionali. Ma Santoro nel suo personale plotone d'esecuzione chiama le due bionde, Innocenzi e Castamagna, che al pari suo sono esperte conoscitrici delle relazioni extraconiugali di Berlusconi, ma meno ferrate quando si parla di Pil e costituzione. Il giornalismo sacrificato sull'altare dello share.

Il presidente del pdl quasi non ci crede: invece che parlare dei disastri del berlusconismo, Santoro ed il suo staff gli mostrano il famoso video in cui fa aspettare la Merkel per parlare al cellulare. Difendersi dall'aumento del debito pubblico, dalla mancata rivoluzione liberale è oggettivamente impossibile, ma spiegare perché ha fatto attendere una culona inchiavabile non è certo un problema per un matador come lui.

Persino Travaglio, emozionato dalla vista del suo primo ed unico amore, sembra meno incisivo del solito. I suoi monologhi sono troppo lunghi e letti troppo velocemente. Alla fine è l'unico in grado di competere con B, pur uscendo comunque sconfitto dallo scontro televisivo.

La ditta Santoro e Travaglio finisce per fare un favore a B, la cui immagine di maschio alfa stava venendo oscurata dalle sue interviste targate D'Urso e Giletti. Vincere nello studio di servizio pubblico parlando dei comunisti non aiuterà il Cavaliere a riconquistare palazzo chigi, ma serve a ricompattare il suo elettorato fedele che lo seguirà anche questa tornata elettorale.

Cosa dire di tutti questi giornalisti che hanno fatto della lotta al berlusconismo l'unico obiettivo della loro carriera? Questa serata sulla 7 ci ha dimostrato che l'antiberlusconismo ed il berlusconismo sono due fenomeni funzionali l'uno con l'altro. Entrambi parlano del nulla ed hanno portato questo paese nel nulla. Ma fanno audience, e tutti parlano di loro. Ed in un mondo governato dalla televisione questo basta ed avanza.

sabato 5 gennaio 2013

Cogan, killing them softly.

Un film duro. Deciso. Un crime noir che parla di mafia senza veramente occuparsi dell'argomento.
Due balordi, convinti da un altro balordo giusto un po' più intelligente di loro, rapinano dei mafiosi durante una partita di poker clandestina. Cogan, interpretato magistralmente da Brad Pitt,è l'assassino professionista che viene ingaggiato dalla malavita per trovare i colpevoli e punirli.

La trama sembra la solita storia di mafia, ma in realtà non c'è azione, non c'è colpo di scena. I balordi si fanno scoprire da soli, mentre Cogan vuole soltanto fare il suo lavoro senza sentire le sue vittime piangere o invocare pietà. Perché lui è un “nice man”,vuole uccidere le sue vittime dolcemente.

Più che la storia in sé, semplice e senza sorprese, ciò che veramente rende questo film inquietante è la messa in scena. Siamo nel 2008, nel mezzo della crisi finanziaria di Wall Street, e le azioni dei mafiosi e degli assassini si alternano ai discorsi televisivi di Obama e Mccain che si inventano cazzate per conquistarsi voti durante la campagna elettorale. E confrontando le parole dei gangsters con quella dei politici scopri che l'economia e la criminalità organizzata si fondano sulle stesse regole: affidabilità, professionalità e credibilità. Comprare le azioni dalla società sbagliata può compromettere il tuo intero piano di investimenti, esattamente come ingaggiare un killer depresso per il recente divorzio può mandarti dritto dritto in galera.

Quello che veramente conta non è quello che hanno fatto o faranno i politici una volta eletti, ma l'idea che gli elettori hanno di loro. Per la criminalità organizzata è uguale: per non farsi rimpiazzare i mafiosi devono convincere le persone che sono insostituibili, che non puoi fregarli senza venire ammazzato. Se non sei credibile non vieni rieletto, o ti becchi una pallottola in testa.

Una volta terminato il lavoro, Cogan viene pagato meno della somma pattuita. Quando protesta, l'intermediario della mafia gli ricorda che il lavoro dell'assassino professionista si basa sui rapporti, sulle relazioni con i suoi mandanti. Ma Cogan lo sa bene: in economia come nella criminalità organizzata non ci sono relazioni. Ci sono soltanto i soldi.
Se ti fai mettere i piedi in testa una volta te li farai mettere sempre. Non ci sono regole, se non quelle della giungla. Le parole di Cogan sono pronunciate in un anonimo pub americano, ma potrebbero benissimo venire urlate durante una seduta della borsa, a Wall street. 
  

"We're one people.It's a myth created by Thomas Jefferson."
"Oh, now you're gonna have a go at Jefferson?"
"My friend,Jefferson's an American saint...because he wrote the words,"All men are created equal"...words he clearly didn't believe,since he allowed his own children to live in slavery.
He was a rich wine snob who was sick of paying taxes to the Brits...so, yeah, he wrote some lovely words and aroused the rabble...and they went out and died for those words...while he sat back and drank his wine and fucked his slave girl.
This guy wants to tell me we're living in a community. Don't make me laugh.
I'm living in America, and in America, you're on your own.
America's not a country.It's just a business.
Now fucking pay me."


venerdì 4 gennaio 2013

Adinolfi, il mio termometro per misurare la paraculite.

Mario Adinolfi non è soltanto un blogger, uno scrittore, un conduttore televisivo ed un politico. Per me rappresenta anche un'inestimabile termometro. Quando voglio capire fino a che punto può arrivare il paraculismo, l'incoerenza, il piagnisteo, io mi collego su internet e cerco l'ultima dichiarazione pubblica del Marione nazionale.

Ho scoperto Adinolfi durante le primarie del 2007. Sono andato a votare e mi sono ritrovato il suo faccione tra i candidati. Mi sono chiesto chi diavolo fosse e, soprattutto, che senso avesse presentarsi ad una competizione in cui non si ha nessuna possibilità di vincere. Per farsi un po' di pubblicità gratuita, immagino. Ed infatti i voti di Adinolfi furono a malapena una manciata. Come tutte le volte che si è presentato alle elezioni senza listini bloccati, del resto. Ma quella è tutta un'altra storia.

Terminate le primarie, non ho più sentito parlato di lui per qualche tempo. Ma non potevo certo rimanere senza le sue perle su internet, il calcio ed il poker. Così mi sono messo a seguirlo su twitter. Tra i suoi numerosissimi difetti, Adinolfi è pure juventino. Va bene, anche questa è un'altra storia. Soprassediamo.

Alle elezioni politiche del 2008 Mario non entra in parlamento ed abbandona il Pd. Pur non avendo alcun ruolo di rilievo all'interno del partito, fa un sacco di rumore mentre esce, assicurandosi di sbattere la porta. Riconsegna la tessera al segretario del Pd scrivendo una lunghissima lettera di cui non frega niente a nessuno, figuriamoci a Bersani.

Il giorno dopo l'abbandono del centrosinistra, diventa grillino. Intendiamoci, non proprio grillino grillino, perché una porta per ritornare nell'ovile deve sempre lasciarla aperta. Diciamo vicino alla posizione di Grillo, va. Che fa molto democristiano, e quindi molto Adinolfi.

Divenuto ormai movimentista, Adinolfi si trova davanti un dilemma morale: con le dimissioni del sindaco di Civitavecchia ha la possibilità di entrare in parlamento. Qualcuno direbbe: non accetterà. Non scenderà a patti con i suoi principi. Lui è contro il listino bloccato ed ha strappato platealmente la tessera del partito di cui era candidato. E invece no. Lui può tutto, è Mario Adinolfi.

Quindi, realizzando un'operazione che farebbe impallidire persino un democristiano, minimizza il suo appoggio a Grillo ed entra come indipendente tra le fila del Pd. Voi vi chiederete: ma che cazzo significa? Non lo sa nessuno, neanche Adinolfi. Ma ubi poltrona, coerenza cessat.

Come scrisse Leonardo, c'è solo una persona peggiore di quella che sputa nel piatto dove ha mangiato. Quella che dopo averci sputato ritorna a mangiarci, come se niente fosse. Continuando a scambiare l'opportunismo per libertà di pensiero, l'incoerenza con l'indipendenza.

Adinolfi, che non se ne fa mancare neanche una, ha appoggiato Renzi alle ultime primarie, contribuendo attivamente alla sua disfatta. Le regole, ancora una volta, sono chiare: chi partecipa poi accetta il verdetto delle urne. Ma cosa vuoi che siano, per uno come Mario, le urne? Uno che è entrato in parlamento con il listino bloccato dopo aver stracciato la tessera del Pd ed averla rincollata con l'attack?

In barba a tutte le regole, in barba a tutte le promesse, e soprattutto in barba alla propria dignità, il giorno dopo aver terminato il suo mandato in parlamento Mario Adinolfi esce nuovamente dal Pd ed annuncia il suo appoggio a Mario Monti.

Con ogni probabilità il professore, visti i precedenti, si sarà toccato i coglioni.