domenica 29 gennaio 2012

Megavideo è morto, ed io mi sento poco bene.

Il più famoso sito di download e streaming del mondo è stato barbaramente ucciso a sangue freddo. Sebbene qualcuno pensi che dietro l'omicidio ci sia il viceministro Martone, desideroso di evitare che gli studenti italiani passino i migliori anni della loro vita a guardare serie televisive e diventino degli sfigati, è molto più probabile che l'autore dell'efferato delitto sia l' Fbi.
Oltre alle numerose prove raccolte dagli inquirenti, il fatto che ogni volta si cerchi di riesumare Megavideo compaia il gigantesco simbolo dell'agenzia federale non lascia molti dubbi sulla colpevolezza degli uomini capitanati da Di Caprio.

Che i siti di streaming siano un'incredibile fonte di cultura è cosa risaputa: bastano pochi clic per vedere un film o perdere la propria carriera universitaria. Ma questo non significa che non siano illegali: permettere di scaricare un film prima che esca nelle sale vuol dire provocare danni economici ingenti all'industria cinematografica e beffarsi del diritto d'autore. (Due azioni straordinariamente soddisfacenti, a cui i giovani di tutto il mondo si dedicano con piacevole professionalità).

Siamo di fronte a due mondi a confronto: quello di internet, che permette lo scambio infinito di contenuti e di idee, e quello del cinema americano, che invece di sfruttare le incredibili capacità del mondo virtuale ha deciso di eleggerlo a suo acerrimo nemico.

Hollywood, ed il cinema in generale, hanno due possibilità. Due vie alternative da percorrere. Possono estraniarsi completamente dal mondo virtuale e sguinzagliare l'Fbi e la Cia contro tutti i siti di streaming e sharing del mondo (che sono un po' come le teste dell'idra, più li tagli e più ricrescono) oppure capire che internet rappresenta un'opportunità e non un problema.

Forse qualcuno ai piani alti dovrebbe iniziare a domandarsi perché le persone preferiscono guardare un film ripreso da un russo ubriaco con una telecamera da due soldi piuttosto che andare al cinema. O perché il diritto d'autore, invece che aiutare gli artisti emergenti, li affossa e li distrugge.

E in Italia siamo anche messi peggio: se messa a confronto con la Siae, il Kgb sembra un ente di beneficenza.

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