domenica 7 aprile 2013

Sui fatti di Civitanova Marche e la rinascita del sottoproletariato urbano.



La vicenda del triplice suicidio a Civitanova Marche lascia sbalorditi non solo per la tragicità dell'evento in sè, ma anche per l'incredibile dignità che traspare dagli atti e dalle motivazioni dei protagonisti di questo terribile fatto di cronaca.

Ma se per un attimo lasciamo da parte i risvolti emotivi di tutta la vicenda, ponendo in un cassetto le nostre emozioni, scopriamo che c'è molto da riflettere sul fatto e sulle sue conseguenze.
Oltre alla prevedibile spettacolarizzazione dell'evento, fenomeno ormai imprescindibile nella società contemporanea, appare chiara la rinascita del cd sottoproletariato, ossia quella parte dei ceti popolari/operai (che ancora esistono,malgrado tutte le analisi che vanno in senso contrario)  che non arrivano alla fine del mese e vengono gradualmente emarginati dalla società.

Grazie al boom economico ed allo sviluppo industriale i ceti popolari hanno visto notevolmente migliarato la loro condizione di vita, tanto che anche i più poveri tra gli operai possono permettersi beni di consumo durevoli (come la macchina, per esempio) tipici della società consumistica. Il progresso ed uno stato sociale sempre più attento verso gli ultimi avevano incluso anche il proletariato in quell'insieme di benefici e condizioni di vita che potremmo definire "benessere".

Con l'avvento della crisi stanno chiaramente però riemergendo tutti i problemi che l'Italia aveva cacciato sotto al tappeto pompando le casse statale con soldi che non erano spendibili dagli italiani (e con cui oggi dobbiamo fare i conti quando parliamo del famoso debito pubblico). Problemi che non solo non sono mai stati risolti, ma neanche realmente affrontati. Sto pensando alla divisione tra nord e sud, la famosa questione meridionale, oppure la mancanza di una vera pianificazione industriale, che manca da anni e costringe tutti gli operatori economici del paese a navigare a vista, bloccando gli investimenti e mettendo in dubbio il futuro del paese.

Problemi che prima o poi dovevano riemergere. Ed adesso, che vengono a bussare alla nostra porta, ci troviamo ad affrontarli quando fuori infuria una crisi terribile ed una congiuntura economica sfavorevolissima. Crisi che non può essere incautamente paragonata con la caduta di Wall Street (che causò poi il collasso delle democrazie liberali negli anni venti) ma che non deve essere sottovalutata come sta puntualmente facendo la nostra classe dirigente, perennemente in campagna elettorale.

Problemi, appunto, che aumentano la forbice tra ricchi e poveri e dividono quest'ultimi tra quelli che possono ancora godere di alcune forme di tutela e quelli che invece rimangono totalmente privi di aiuto. E la divisione non potrebbe essere più netta: il ceto impiegatizio che non teme per il suo posto di lavoro (nonostante una paga spesso inadeguata) mentre i lavoratori del settore privato passibili di licenziamento, quelli che già hanno un impiego tutelati dalla cassa integrazione e quelli che fanno ora il loro ingresso nel mercato del lavoro condannati alla precarietà perpetua.

Queste divisioni tra gli ultimi creano una guerra tra poveri, conflitto che fino ad ora è stato messo a tacere dall'odio comune verso il politico, verso la casta. Ma non sembra essere traccia di una ricomposizione in tempi rapidi tra gli appartenenti a questo ceto, in parte anche per colpa di quegli operatori economici (in primis i sindacati) che stanno mancando al loro ruolo fondamentale di trade-union delle classi lavoratrici.

Ma tutte le segmentazioni possibili ed immaginabili tra gli ultimi non reggono dinanzi alla rinascita del cd sottoproletariato. Persone che anche a causa della precedente floridezza economica non solo non hanno gli strumenti economici per superare il momento di indigenza, ma non hanno le forze psicologiche per accettare la loro condizione. Chi ha vissuto in una condizione di relativa stabilità economica e si è sempre ritenuto parte integrante della società difficilmente accetterà di essere considerato ultimo, indigente, disperato. Questo dovrebbe far riflettere i nostri decision-maker (seppure esistono) non solo sugli effetti economici della crisi, ma anche sul malessere che può creare nella nostra popolazione.

Questa piccola analisi, che in realtà apparirà scontata e forse anche sbagliata a chi si intenda un minimo di fenomeni sociologici, serve per ricordarmi che dalla nostra capacità di prendere decisioni per il futuro dipenderà anche la società italiana del domani, nella speranza che sia meno diseguale e meno frammentata di quella di oggi. 

Nessun commento:

Posta un commento