martedì 11 settembre 2012

9/01/2001:Il nostro più grande alibi.


Mi ricordo l'undici settembre del 2001. Ero piccolo e stavo sul letto a guardare l'ennesima puntata di happy days quando c'è stata l'edizione straordinaria del telegiornale. Nessuno ci credeva. Tutta la famiglia guardava le immagini del crollo, dell'aereo, del fumo con uno sguardo catatonico. Abbiamo avuto bisogno di aspettare il notiziario della sera per convincerci che l'attentato era avvenuto per davvero. Ad undici anni dalla tragedia lo sgomento è venuto meno, la paura ancora no.

Persino i più convinti degli antiamericani erano consapevoli che quell'attacco non era diretto soltanto agli Stati Uniti. Era un messaggio all'Occidente opulento, per certi versi violento e saccheggiatore, ma soprattutto laico, “infedele”.

Da quel giorno ci siamo sentiti accerchiati, colpiti al cuore. Una sindrome di accerchiamento che ci ha impedito di guardare non solo il mondo islamico, ma tutti gli altri mondi con lucidità. Quelle torri distrutte, quelle persone morte in quel modo orribile sono diventati il nostro alibi per fingere di non vedere, per continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto: cooperare con gli Altri senza considerarli mai uguali, mai abbastanza evoluti.

Tremila persone sono morte direttamente in questa tragedia senza senso, frutto di una interpretazione di un testo sacro che, al contrario di quello che pensano in molti, potrebbe essere portatore di cultura e tolleranza esattamente come il Vangelo. Ma quei tremila americani sono soltanto la superficie, perché oggi appare impossibile non considerare tra i caduti anche i 100000 civili afghani ed i 68000  iracheni, morti in due guerre assurde che hanno attizzato il fuoco dell'odio piuttosto che spegnerlo.

Alibi, dicevo. Quell'attentato è stato anche l'alibi che cercavamo per continuare a credere che gli islamici non sono in grado di creare una società laica se non attraverso sanguinose dittature foraggiate dall'occidente. Come se noi non avessimo e non continuassimo ad avere difficili rapporti tra potere sacro e profano, come se il fanatismo fosse un dramma tutto orientale.

Neanche la primavera araba è riuscita a smuovere le nostre coscienze. Abbiamo continuato a vedere questi giovani in cerca di libertà come un fastidio piuttosto che un'opportunità. Quando gli italiani lottavano per la loro indipendenza erano visti con simpatia dai popoli di tutta Europa (popoli, non governi), e Garibaldi nei suoi viaggi era accolto come un eroe di fama mondiale.
Noi invece nelle rivolte arabe abbiamo provato soltanto paura e diffidenza. Paura di venire assaliti da masse incontrollate di stranieri. Diffidenza, perché alla fine soltanto noi ci meritiamo di vivere in democrazia.

Piango le vittime del 911 ma piango anche le nostre ipocrisie e le nostre paure. Spesso comprensibili ma quasi sempre totalmente infondate.

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